Per una rilettura “unitaria” della Passio domini nostri Jesu, Norimberga, 1511, la “Grande Passione” di A. Dürer.
La mostra che la B.C.R.S. realizza presso la Sala delle Missioni, dal 26 Marzo al 6 Aprile 2018, dell’esemplare da essa custodito de “La grande Passione” di Albrecht Dϋrer offre l’occasione per una rilettura e rivalutazione dell’opera del grande artista tedesco, pubblicata nei primi del ‘500, epoca in cui si preparava la grande riforma luterana.
L’opera è probabilmente più nota per le sue illustrazioni realizzate con la tecnica della xilografia, che consiste nella incisione su legno, successivamente impresse sulla carta, tecnica antica di origine orientale.
Le xilografie contenute nella Passio, di notevole pregio e sicuro impatto iconografico, sono riconducibili a tavole incise dal Dϋrer in un arco temporale tra il 1497 e il 1510, alcune già note in precedenza, altre realizzate proprio per la pubblicazione dell’opera, avvenuta a Norimberga nel 1511 con l’imprimatur dello stesso Dϋrer.
Meno conosciuto invece il testo latino che l’opera contiene, con riferimento alle immagini illustrate nelle xilografie e ad esse indissolubilmente vincolato; l’impostazione del testo procede infatti senza soluzione di continuità sul verso delle stesse pagine illustrate, seguendo il flusso storico del racconto biblico, stabilisce una lettura testo-immagine che coinvolge il lettore in una “narrazione illustrata”, a nostro avviso, di non indifferente fascino, oltre che valore artistico.
Con questa esposizione la B.C.R.S. intende valorizzare l’opera del Dϋrer nella sua completezza, proponendo una lettura “unitaria” dell’opera che coniuga indissolubilmente l’aspetto iconografico con l’aspetto narrativo, che pur rispondendo al progetto originario del suo autore, possiamo ritenere ancora inedita o poco nota. Volendo facilitare l’accesso ed offrire a un più vasto pubblico la fruizione del testo latino in esametri di indiscutibile valore poetico, ma di non facile lettura, si è voluto pertanto affiancare una prima traduzione in italiano.
Il testo complesso per la ricchezza dei suoi elementi, fu composto per volere del Dϋrer da Chelidonius Benedictus (m. 1521) monaco benedettino a Sankt Aegidien di Norimberga, al secolo Benedikt Schwalbe, umanista scrittore di commedie neolatine, noto anche come Hirundo o Musophilus.
Egli realizzò un carme epico in esametri, concependolo, come si evince dal titolo, come una raccolta da autorevoli fonti, la più antica delle quali Celio Sedulio, poeta del V secolo d.C. di origine italiana operante tra Italia e Grecia.
Il Sedulio, probabilmente presbitero, aveva composto un “Carmen Paschale” in esametri, di alto valore esegetico, con cui avviò un genere letterario poi consolidatosi nella tradizione della “poesia cristiana”.
Lo studio di questo autore, mai interrotto nell’insegnamento delle scuole in tutta l’epoca medievale, fece sì che la sua fama raggiungesse il tempo del Dürer e che Lutero (che da lì a poco nel 1517 avrebbe dato il via alla grande Riforma) lo nominasse ancora come il “christianissimus poeta”. Ed egli non era una voce isolata cui attingere per recuperare lo spirito e la forma della poesia cristiana originaria, visto che Chelidonio potè fare riferimento a numerose altre fonti costituite da poeti contemporanei, autori di altrettanti carmi, aventi a tema i miracoli e la passione del Cristo.
Questi autori, come vengono citati nel titolo della Passio domini nostri Jesu erano: Domenico Mancino, Geronimo Padovano, Battista Mantovano.
Riteniamo di notevole interesse per la storia della nostra cultura richiamare l’attenzione al fatto che si tratti di tre umanisti italiani.
Ciò a riprova dell’ininterrotta circolazione di testi e intensi scambi culturali tra Germania e Italia, che tra la fine del ‘400 e il ‘500 assumeva una posizione di prestigio, in particolare con le città di Venezia, che lo stesso Dürer aveva più volte visitato e da cui aveva tratto ispirazione per la sua arte, ma anche Mantova e Padova, centri in cui mantenutisi vivi gli studi classici in epoca medievale, si rivelavano fertili centri culturali in epoca umanistica.
In Geronimo Padovano deve riconoscersi Girolamo dalle Valli medico e umanista, anch’egli autore di un carme in esametri, il De Passione Christi, i cui manoscritti circolavano a Norimberga con il nome di Iesuida o Iesuoda , già intorno al 1472 circa.
Domenico Mancino o Mancini, poeta italiano, professore di lettere, probabilmente religioso, fiorì tra 1478 e il 1509 e fu noto come autore di un Tractatus de passione Domini Jesu Christi.
Il citato Battista Mantovano fu Battista Spagnoli (1447-1516), beato, che appartenne all’ordine dei Carmelitani. Questi fu poeta latino e compose dieci Egloghe, di ispirazione virgiliana;
del carme Parthenice incentrato sulla figura della Vergine e dei santi, nonché di un Opus aureum in Thomistas, in cui fa sentire in tono riformista una voce di condanna contro l’eccessiva devozione a S. Tommaso e al tomismo e un invito al recupero dei testi evangelici originari della cristianità.
Ma addentrandoci nella lettura del testo della nostra Passio, frutto a detta del Chelidonio di una composizione di più parti, lasciando agli specialisti un auspicabile più approfondito esame filologico del testo in relazione alle fonti, a chiarimento della complessità della sua struttura compositiva ci limitiamo a mettere in luce alcuni pochi aspetti che riteniamo peculiari.
Il testo è disposto a colonna unica al centro della pagina, sul verso di ciascuna xilografia, ed in maniera tale da riferirsi alla xilografia che segue secondo una disposizione “a libro”, che vincola in un preciso ordine consecutivo le carte, pur senza alcuna legatura. La “scoperta” di tale ordine che solo la lettura e traduzione del testo ha consentito, ha fatto sì di poter dare un assetto definitivo alle xilografie, finora concepite solo come una “raccolta” seppur di elevato valore artistico. Ciò in contrapposizione a quanto risulta anche dai repertori quali il The illustrated Bartsch o il Catalogo del Musées de la Ville de Paris Petit Palais, del 1996.
In particolare ci riferiamo alla tavola che illustra la discesa di Cristo nel Limbo, tradizionalmente posta immediatamente prima della tavola della Resurrezione del Cristo e che la narrazione del Chelidonio pone inequivocabilmente invece subito dopo la Crocifissione.
La scrittura è la minuscola rotonda, nata su modello della scrittura umanistica adottata in epoca rinascimentale per la copia dei manoscritti e che andò definendosi nei caratteri a stampa.
Pochi i segni abbreviativi, quasi unicamente limitati al troncamento ricorrente del q(ue) finale, la forma tachigrafica del pronome relativo e di poche altre congiunzioni.
Per quanto riguarda la punteggiatura, quasi unicamente usato il punto (.) come pausa generica, sia breve che finale, alternato ai due punti (:). Presente il segno interrogativo ordinario (?) nella sua forma più antica, con l’occhiello aperto e un po’ inclinato a destra. Ad inizio di capitolo, dopo il titolo principale in lettere maiuscole, ricorre il segno di paragrafo.
Da un punto di vista linguistico si rilevano alcune forme contratte delle forme verbali.
Delle fonti anticipate nel titolo, ricorrono i nomi in forma abbreviata sul margine sinistro della colonna ad inizio del relativo testo che si alternano come i personaggi di un coro a più voci di una rappresentazione teatrale, accentuando l’impatto visivo che ben si accorda con l’effetto iconografico unitario.
Anche il nome del Chelidonio, il regista, compare tra le voci come una di loro, ma sicuramente la sua è la voce che lega le altre dando coerenza ed univocità di tono.
Il testo infatti, nella musicalità degli esametri, risulta coerente, uniforme, senza salti o dissonanze e di notevole fluidità poetica.
Pieno di fascino per i contemporanei ed assai gradito al gusto umanistico del tempo, risultò il collegamento tra concetti antichi pagani e il mondo cristiano, che si realizza con il richiamo ad alcuni motivi mitologici propri della mitologia greca classica e pagana che risultano perfettamente inseriti nel contesto della concezione cristiana, operazione preparata dalla tradizione medievale.
Così, sin dalla breve introduzione al testo del carme, nonché nello snodo di tutta l’opera incontriamo citati: Olimpus (Olimpo), denominazione del luogo da cui Il Figlio del Dio cristiano prenderà le mosse per giungere nel regno dei mortali; Cerberus (Cerbero), mostro a tre teste, guardiano degli Inferi; Orcus (Orco), regno dell’oltretomba; le Erinnes (Erinni o Furie), che non potranno contrastare l’azione di salvezza del Cristo nei confronti delle anime dei giusti nel Limbo.
Tutto concorre ad inneggiare la centralità della figura di Cristo e la pietà per la Vergine madre Maria, cui si rivolgeva la devozione popolare cristiana dell’epoca.
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Bibliografia :
Price, David. Albrecht Durer’s Renaissance humanism, reformation, and the art of faith. Ann Arbor: The University of Michigan press, 2003;
Posset, Franz. Renaissance monks : monastic humanism in six biographical sketches. Leiden: Bill, 2005;
Stella, Francesco.” Poesia e teologia. L’occidente latino tra IV e VIII secolo”. In Figure del pensiero medievale. Milano, Jaca Book, 2009, v. 1.