Ritratto di Alessandro Raffaele Torlonia
Natale Carta (1790 -1884)
Post 1839
Olio su tela
Cm 98×75 (cornice cm127x106)
Firmato: Cav. N.Carta, P.re di San Luca
Alcamo, collezione privata
Uno dei ritratti più rappresentativi del pittore Natale Carta a Roma
Il grande ritratto, raffigurante Alessandro Emanuele Torlonia (1800-1886), firmato dal pittore Natale Carta (1790-1884) come accademico di San Luca, è uno dei più rappresentativi dipinti dell’attività dell’artista a Roma.
L’illustre personaggio, raffigurato di tre quarti, è seduto su un alto sgabello e guarda intensamente lo spettatore. Ha le braccia mollemente incrociate e stringe nella mano destra i guanti di pelle. È stretto in una magnifica rendigote marrone con il bavero in velluto, indossa un gilet bianco avorio, una candida camicia e una ampia cravatta nera. Ha gli occhi castani con uno sguardo profondo, i capelli pettinati all’indietro e bei favoriti. L’anello all’indice sinistro, la grande spilla di diamanti sulla cravatta e la decorazione in oro e smalti con il nastro azzurro sottolineano il suo altissimo rango. I tratti fisiognomici e le mani sono state magistralmente eseguite dall’artista ed il contrasto chiaroscurale con lo sfondo valorizza ancor di più il colorito del volto e degli zigomi determinando un gradevole effetto luminoso.
Il dipinto è stato eseguito dopo il 1839 data in cui il Carta viene eletto membro dell’Accademia di San Luca.
È assai significativo che il pittore negli anni quaranta dell’Ottocento sia al culmine della fama al pari del principe ritratto.
La famiglia Torlonia
Alessandro nasce a Roma il primo gennaio del 1800, figlio quartogenito di Giovanni Torlonia, l’uomo più ricco dell’Urbe. La folgorante ascesa della famiglia era iniziata nella seconda metà del Settecento ed era cresciuta vertiginosamente dopo il 1797 quando aveva ottenuto la dignità nobiliare grazie al sostegno finanziario, elargito a Pio VI, in serie difficoltà economiche a causa del Trattato di Tolentino. A partire dagli anni della Repubblica Romana aveva concesso prestiti alle grandi famiglie principesche sottoposte a pesanti tassazioni riuscendo, in questo modo, ad incrementare il patrimonio immobiliare della famiglia con l’acquisizione di feudi e dei titoli ad essi connessi.
Concomitante alla crescita del prestigio della famiglia Torlonia era iniziato un programma di mecenatismo artistico improntato sul modello dei grandi banchieri europei per stile assai prossimo a quello delle antiche famiglie romane. L’emulazione portò la famiglia ad acquisire importanti immobili volti a sottolineare il raggiunto status sociale come il palazzo di città, in piazza Venezia, la villa fuori porta sulla via Nomentana e la cappella gentilizia in San Giovanni in Laterano. Le residenze Torlonia vantavano una collezione d’arte che in breve tempo potette rivaleggiare con quelle delle famiglie più antiche. Le opere d’arte antica convivevano con quelle d’arte contemporanea come il grande colosso “Ercole e Lica” di Antonio Canova collocato nella galleria del palazzo di piazza Venezia. Le dimore di famiglia, le cappelle di ius patronatus e gli interventi in opere pubbliche finanziati dai Torlonia vedono il dispiegamento degli artisti neoclassici più in voga operanti nell’Urbe come Vincenzo Camuccini, Gaspare Landi e Pelagio Pelagi.
Nel 1829 Giovanni Torlonia muore e le sue disposizioni testamentarie inaugureranno la grande rivalità tra i membri della sua famiglia perché il de cuius metterà in risalto la sua predilezione per le doti nel campo dell’alta finanza di Alessandro Raffaele a discapito e a torto del primogenito Marino.
Nell’educazione di Alessandro nulla era stato lesinato. I lunghi soggiorni all’estero e la frequentazione degli ambienti politici e finanziari a livello internazionale lo resero determinato e sicuro delle proprie capacità di osservazione e della sua grande acutezza politica rafforzate da un’assoluta dedizione al lavoro. Negli anni venti il padre lo preferì al resto della progenie nella gestione della banca e creò per il figlio una seconda primogenitura con un fidecommesso che comprendeva un patrimonio immobiliare prestigioso: la villa di Porta Pia, il feudo di Civitella Cesi con il titolo connesso, numerosi possedimenti terrieri, i palazzi di piazza SS. Apostoli e di piazza Venezia e soprattutto la banca di famiglia. La rivalità con il primogenito sarebbe sfociata in aperta lite se Carlo Torlonia, fratello di entrambi, dedito ad una vita ascetica e religiosa, non avesse rinunciato a gran parte dei suoi beni in favore di Marino. Quest’ultimo si rivelò un altrettanto bravo amministratore e incrementò il patrimonio di famiglia in modo significativo.
La vita professionale e privata di Alessandro Raffaele Torlonia
Gli anni trenta dell’Ottocento sono i più intensi della vita professionale di Alessandro Raffaele. Riorganizza le finanze vaticane emettendo titoli di stato in cooperazione con i Rothscild, diventando in questo modo uno dei più importanti banchieri europei. Le sue iniziative imprenditoriali vengono diversificate con l’esercizio di appalti fiscali sia nello Stato Pontificio sia nel Regno delle Due Sicilie e con l’incremento costante del patrimonio terriero che verrà gestito in modo innovativo con la realizzazione di grandi opere di bonifica.
Il suo matrimonio sembra sottolineare l’ingresso a testa alta nella grande aristocrazia romana sposando la giovanissima Teresa Colonna di Paliano, figlia del principe Aspreno, nel 1840. Il matrimonio fu infelicissimo. Nasceranno due figlie Anna Maria e Giovanna Giacinta e quest’ultima ebbe, al pari della madre, gravi problemi nervosi che resero turbolenti e difficili gli anni della maturità di Alessandro.
Ma questi temporali della sua esistenza sono ancora lontani quando Natale Carta realizza il suo ritratto. È all’apice del successo, forse prossimo al matrimonio se non appena sposato, il suo nome è riconosciuto e rispettato in tutta Europa e l’avvenire sembra ancora pieno di promesse.
In occasione del suo matrimonio le residenze di famiglia vengono ridecorate e la decorazione pittorica del palazzo di piazza Venezia viene affidata ai capiscuola Francesco Podesti e Francesco Coghetti insieme agli artisti di ultima generazione come Natale Carta e Costantino Brumidi in parallelo con quanto avveniva nel cantiere della villa suburbana sulla via Nomentana. Natale Carta realizza per il palazzo la sala dedicata alle donne illustri. Il 20 gennaio 1842, nella cappella di San Michele presso Sant’Andrea delle Fratte, dove Giovanni Torlonia aveva fatto realizzare il nuovo pavimento nel 1828, avviene la miracolosa apparizione della Vergine all’ebreo alsaziano Alphonse de Ratisbonne. La cappella viene quindi dedicata all’Immacolata e la famiglia Torlonia commissiona la pala d’altare sempre al prediletto Natale Carta. Nel 1866 lo stesso artista, la cui produzione è concentrata ormai a Roma o a Napoli, realizza un’altra Vergine Immacolata assai simile a quella romana per la cappella della Pia Opera Pastore della città di Alcamo commissionata da don Felice Vannucci nipote del barone Felice Pastore fondatore del pio istituto. Le commissioni al Carta, da parte della più ricca famiglia romana, segnano ormai per l’artista cinquantenne la sua consacrazione nel difficile panorama artistico dell’Urbe. Non era stata una carriera facile ma era stato molto aiutato dal suo talento e da illustri protettori.
Il pittore Natale Carta
Nato a Messina nel 1790 da Giuseppe, discreto ritrattista di origine palermitana, aveva compiuto i primi studi presso le botteghe di Giuseppe Velasco e Giuseppe Patania grazie all’intermediazione di Agostino Gallo. Determinante fu il suo soggiorno napoletano dove entra nella cerchia dei giovani artisti che ruotano attorno alla bellissima Agata Moncada e Ventimiglia di Paternò, moglie siciliana di Carlo Filangieri, principe di Satriano. I Filangeri sono attenti committenti e collezionisti e finanziano la formazione di giovani artisti. Tra questi è Natale Carta inviato a Roma presso la bottega di Vincenzo Camuccini. Il soggiorno napoletano del giovanissimo Carta è stato determinante per le sue relazioni future e per i contatti con i più autorevoli committenti del regno. L’artista aveva trovato sostegno nel colto e raffinato mecenatismo di Vincenzo Ruffo, principe di S.Antimo, ma soprattutto nei Filangieri di Satriano. Il principe Ruffo aveva acquistato dal giovane Carta due dipinti a soggetto mitologico Adone che si diparte da Venere ed il Bacco ed Arianna. Ma la sua consacrazione napoletana a grande ritrattista è certamente legata al dipinto dei
Filangieri di Satriano, realizzato nel 1834, dove il principe Carlo, in alta uniforme, è rappresentato con la moglie Agata Moncada Ventimiglia di Paternò, insieme ai giovani figli, l’erede don Gaetano, alle tre figlie e ai due cani immersi in un lussureggiante giardino con alle spalle degli antichi resti dove sembra riconoscersi il busto del vecchio principe Gaetano. Un dipinto assai alla page in cui la principessa, seduta al centro sembra l’indiscutibile protagonista con la sua eleganza e le sue gioie. Il dipinto è noto attraverso una foto del 1920 perché andato distrutto durante il rovinoso incendio del 1943. Sopravvive ancora oggi il ritratto della principessa Moncada dove il nostro Carta dispiega tutte le sue abilità di ritrattista ormai maturo. La principessa appare più giovane della sua reale età, era nata nel 1803 ed all’epoca era già trentenne, ed è estremamente affascinante grazie anche alla scelta di un copricapo alla turca che ritroviamo quasi identico in un ritratto inedito di Lucia Migliaccio, amante e poi moglie morganatica del re Ferdinando di Borbone. Del resto i legami con la famiglia della Migliaccio sono avvalorati dalla committenza al pittore, da parte di Nicola Serra, principe di Gerace, vedovo di Marianna Grifeo di Partanna, figlia della moglie morganatica del re, di un dipinto raffigurante la Sacra Famiglia per la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Napoli.
Natale Carta fin dagli esordi della sua attività di ritrattista presterà grande attenzione agli abiti e agli accessori dei suoi personaggi a differenza del suo primo maestro, Giuseppe Patania, e di suo padre Giuseppe, assai più approssimativo. Nel ritratto di nobildonna con guanti, già in collezione privata a Viareggio, i dettagli della dama sono molto curati e la stretta di quei guanti è pressoché identica a quella del ritratto di Alessandro Raffaele Torlonia.
Nella città partenopea la sua fama di ritrattista crescerà fino al punto da essere considerato il migliore della città. Non era solo in grado di riprodurre le fattezze dell’effigiato ma di dare al personaggio grande solennità ed eleganza formale e l’incarnato delle sue figure di colore madreperlaceo incantava per la raffinatezza i contemporanei. Il suo trasferimento a Roma non interruppe i contatti con la grande committenza partenopea che continuò ad avvalersi della sua opera di ritrattista. Nel 1839 entra nell’Accademia di San Luca e negli anni successivi diverrà professore di pittura e di disegno.
La bottega del Camuccini apre le porte al Carta di casa Torlonia e non è casuale che sia stato tra i pochi a ritrarre il principe Alessandro in età giovane.
Le difficoltà finanziare del Torlonia
Il ritratto del Torlonia segna quasi un termine post quem hanno inizio le grandi difficoltà familiari dell’importante banchiere. La prima fra di esse la malattia mentale della moglie dalla quale ebbe solo due figlie femmine e quindi era inconcepibile continuare le attività bancarie della famiglia. Inoltre i tempi erano mutati e si dovette confrontare con la rigidità del potente segretario di Stato, Giacomo Antonelli e con il fratello di questi Filippo, governatore della Banca dello Stato Pontificio, fautori di affari tutt’altro che trasparenti. Nel 1863 decise di chiudere la sua banca e di dedicarsi intensamente alla grande bonifica delle sue terre nel Fucino per cui gli fu concesso nel 1875 il titolo principesco da Vittorio Emanuele II.
Alla vigilia della chiusura della banca abbiamo le più importanti acquisizioni d’arte come la grande collezione Albani. Il suo disamore per gli affari della banca, che aveva seguito con passione per tutta la sua giovinezza, si tradusse nell’energia instancabile per la bonifica del Fucino e per la cura della collezione di antichità. A differenza dei tempi passati conduceva una vita molto ritirata e i famosi ricevimenti, dati soprattutto nel grande palazzo di piazza Venezia, erano solo un ricordo nelle memorabilia degli stranieri. Il problema della trasmissione del nome e dei titoli venne risolto con il matrimonio della figlia Anna Maria, avvenuto nel 1872, con Giulio Borghese il quale adottò per i figli il cognome della moglie.
Morì il 7 febbraio del 1886.
Francesco Melia
Bibliografia:
Alessandro Raffaele Torlonia
Treccani Ad vocem
D.Felisini, Qual capitalista per ricchezza principalissimo, Alessandro Torlonia, principe, banchiere, imprenditore nell’Ottocento romano, 2004
S. Gradesso, La vendita delle disiecta membra di palazzo Torlonia in Capitale e crocevia. Il mercato dell’arte nella Roma sabauda, a cura di A.Bacchi e G.Capitelli.
Natale Carta
F. Napier, Pittura napoletana dell’ottocento, 1956
M. D’Onofrio, Sant’Andrea delle Fratte, 1971
La pittura dell’Ottocento in Sicilia a cura di Maria Concetta Di Natale, 2003
Poliorama pittoresco, a cura di Maria Concetta Di Natale, 2007
G. Barbera, Pittori dell’Ottocento a Messina, 2008
A. Di Benedetto, Ritratti in contesto. Uomini, donne, storie, mondanità nel secolo XIX a Napoli e altrove in ARTES, 2019