Rocco Chinnici: l’uomo, l’amico, il magistrato
Parlare di Rocco Chinnici e ricordarne la figura mi suscita sempre emozione. Con Rocco Chinnici negli anni in cui sono stato alla Procura della Repubblica di Palermo, si era instaurato un rapporto non soltanto di natura professionale ma anche e soprattutto di profonda amicizia, stima ed affetto. Ricordo ancora come, durante lo svolgimento del periodo di tirocinio, spesso andavo a trovarlo all’ufficio istruzione dove lui si recava quasi ogni pomeriggio portando con sé Giovanni allora un bambino alquanto vivace e in quelle occasioni leggendo le carte dei processi da lui trattati apprendevo molto non soltanto professionalmente ma soprattutto dal punto di vista umano. Ricordo ancora, a riprova del rapporto che ci legava come, quando la figlia Caterina che aveva vinto il concorso in magistratura dovette effettuare il prescritto periodo di tirocinio in Procura, Rocco volle che fosse affidata a me cosa che naturalmente mi gratificò particolarmente perché dimostrava la stima e la fiducia che nutriva nei miei confronti.
Purtroppo quel 29 luglio del 1983 il destino volle che il giorno della strage di via Pipitone Federico fossi io il magistrato di turno che intervenne sul luogo della strage per il compimento degli atti urgenti. Come è stato scritto da Paolo Borsellino, se coloro che idearono e attuarono la strage ritennero di avere decapitato l’ufficio istruzione e di averlo ridotto alla resa si sbagliarono. Rocco Chinnici era ed è vivo nel cuore di tutti noi che poi costituimmo, in Procura e all’Ufficio istruzione il cd pool antimafia e che raccogliemmo il testimone. Chinnici, a chi gli chiedeva quale fosse stata la reazione dei giudici trapanesi di fronte all’assassinio del collega Ciaccio Montalto rispose: questo è un messaggio onesto e chiaro che voglio lanciare alla mafia: noi giudici siciliani non ci arrenderemo mai, non avremo mai rassegnazione o paura. Per ognuno che cade ce ne sono altri dieci disposti a proseguire con maggiore impegno,coraggio,determinazione.
Non vi è dubbio che gli eventi successivi gli hanno dato ragione. Se rileggiamo alcuni degli scritti di Rocco Chinnici ci rendiamo conto come con grande lucidità ed intuito fin dal 1981 egli si era formata una visione chiara del fenomeno mafioso e ciò senza disporre di quelle acquisizioni probatorie di cui oggi disponiamo non ultime quelle che ci sono state fornite dai collaboratori di giustizia. E ciò appare ancora più apprezzabile se si tiene conto del fatto che in quel periodo non vi era una grande attenzione per il fenomeno mafioso e si tendeva più che altro a rassegnarsi alla convivenza con la mafia. Quando nel 1979, in piena guerra di mafia in corso, divenne dirigente dell’ufficio istruzione di Palermo svolse una intensa attività volta a potenziare la struttura dell’ufficio da lui diretto al fine di renderla più efficiente nel contrasto alla criminalità mafiosa cominciando ad invertire la tendenza di quella che era allora la realtà giudiziaria.
La sua non comune capacità di lettura del problema- mafia e la forza di carattere fecero sì che egli innovasse il metodo di lavoro, assumendo su di sé la gran parte delle principali istruttorie sugli omicidi, in un tentativo di visione strategica del fenomeno e di coinvolgimento più diretto di alcuni magistrati di quell’Ufficio, a cominciare da Borsellino e da altri magistrati, cui assegnò sempre più complessi processi di mafia riguardanti, in particolare, fatti ed aree omogenei. Si può dire che gettò le basi di quello che poi con il suo successore Caponetto sarebbe stato il c.d. pool antimafia dell’ufficio istruzione, cui corrispondeva il pool antimafia costituito presso la Procura della repubblica e di cui io, insieme ad altri colleghi, facevamo parte. Rocco Chinnici era consapevole dei notevoli rischi personali che la sua attività comportava soprattutto dopo gli omicidi di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, delitti che lo avevano profondamente scosso, come ebbe a dirmi nel corso di uno dei nostri colloqui che spesso il pomeriggio avevamo nella sua stanza di consigliere istruttore.
Ma certamente questi delitti non lo avevano fatto desistere dall’impegno nella lotta alla mafia ed anzi lo avevano stimolato a lavorare con sempre maggiore abnegazione. Basta ricordare con quali e quanti sacrifici personali e familiari affrontò l’istruzione del c.d. maxi processo alle cosche mafiose,processo che ha retto a tutte le verifiche dibattimentali fino in Cassazione. E lo sforzo di Rocco Chinnici in questa indagine si può meglio comprendere se si tiene conto del fatto che i dieci anni precedenti erano stati caratterizzati dalla più completa inerzia investigativa per cui bisognava colmare un vuoto non facile da colmare. Ma parlando di Rocco Chinnici non si può omettere di ricordare che fu il primo ad avere chiaro il connubio tra mafia e politica che poi, in anni recenti ha trovato conferma nelle emergenze processuali e nelle sentenze di condanna che ne sono derivate. In una intervista ebbe a dichiarare all’intervistatore che gli chiedeva se si potesse parlare di un tale connubio: “ la mafia stessa è un modo di fare politica mediante la violenza, è fatale quindi che cerchi una complicità, un riscontro, una alleanza con la politica pura, cioè praticamente con il potere… una cosa è certa esiste una connessione profonda fra mafia e politica”.
E sempre in tale intervista a proposito della legge La Torre allora da poco approvata ebbe a dire che tale legge costituiva uno strumento di eccezionale validità in quanto consentiva di colpire il mafioso nel cuore della sua stessa attività e ciò mediante le indagini nelle banche, il controllo sugli appalti e sub appalti. Parole che a distanza di oltre 30 anni sono estremamente attuali come dimostrato dagli ingenti patrimoni che sempre più spesso vengono sequestrati e confiscati ai mafiosi proprio in virtù della legge La Torre. Il ricordo e il sacrificio di Rocco Chinnici devono rimanere impressi nella memoria di tutti gli italiani come quella di un uomo,di un giudice che ha contrastato la criminalità mafiosa, con coraggio, con abnegazione fino al sacrificio della propria vita. Rocco Chinnici deve essere sempre ricordato da tutti coloro che vogliono che il nostro paese sia liberato da quel cancro che è la mafia. Quando come oggi ricordiamo Chinnici o leggiamo le sue parole o quando altri magistrati proseguono la lotta di Chinnici di Terranova, di Costa, di Falcone, di Borsellino e di tutti gli altri caduti nella lotta contro la mafia, ciò significa salvare e prolungare un frammento della sua vita e delle sue idee.