GIORNATA DI STUDI IN ONORE DI ROSARIO LA DUCA.
La redazione de L’Identità di Clio, riceve e pubblica alcuni tra gli interventi della giornata di studi in onore di Rosario la Duca, svoltasi sabato 28 Aprile presso la “ Sala Gialla” del Palazzo Reale siciliano. Momenti di incontro e dibattito, come questo, risultano essere necessari per il rilancio culturale della Sicilia. Si ringraziano il professore Maurizio Carta ed il nostro direttore responsabile, professore Antonino Giuffrida, per il prezioso contributo.
ROSARIO LA DUCA. UN INTELLETTUALE IMPEGNATO
di Antonino Giuffrida
Rosario La Duca vive in modo contraddittorio il rapporto con la politica e con il Palazzo dei Normanni. Eletto deputato indipendente del partito comunista all’Assemblea Regionale Siciliana nella VI legislatura (1967-1971) non riesce a metabolizzare i tempi della politica. Lui che organizzava e pianificava tutto nella vita non riusciva a convivere con le riunioni che iniziavano molto dopo l’ora prevista nell’ordine del giorno o che si prolungavano nella notte. Tuttavia il suo contributo all’attività legislativa dell’Aula e istruttoria delle commissioni, soprattutto nel settore dei lavori pubblici, risulta di particolare importanza. Il terremoto del Belice del 1968 lo vede in prima linea sia per acquisire dati sullo stato dei luoghi distrutti dal sisma effettuando dei sopralluoghi con una delegazione parlamentare, sia per predisporre i necessari provvedimenti legislativi per far fronte alle prime necessità delle cittadine messe in ginocchio dal terremoto. La realtà tragica che scorre sotto i suoi occhi lo coinvolge emozionalmente sollecitando l’attenzione non solo del politico, ma, soprattutto, dello studioso e del ricercatore affascinato dalla micro storia e dai modelli urbanistici e sociali fortemente compromessi dalla cesura temporale imposta dall’evento traumatico del sisma. Raccoglie sotto le macerie della scuola di Montevago i compiti conservati nel cassetto della cattedra della maestra il giorno prima che i muri dell’edificio crollassero e li pubblica dando una testimonianza fresca e spontanea delle ansie, delle aspettative e del vissuto di ragazzi che contribuiscono con le loro composizioni ingenue ma, nel contempo, spietatamente sincere a delineare la vita di un paese che non c’è più e che dovrà essere ricostruito. Il suo timore era quello che la ricostruzione operasse una distruzione dell’identità storico-sociale di quel minuscolo paese di appena 3000 abitanti consegnando all’oblio il faticoso percorso sociale ed economico che nel corso dei secoli aveva contribuito a costruirne l’identità. Pubblicare i temi da ragazzi non gli era sufficiente e si dedicò a scrivere una monografia pubblicata su “Cronache Parlamentari Siciliane”, rivista edita dall’Assemblea di cui era animatore Aldo Scimè, dedicata alla storia di Montevago. Uno studio esemplare in cui Rosario mette insieme documenti di archivio, testimonianze di eruditi locali, dati statistici, fotografie inedite dei luoghi e della vita del paese nella convinzione di costruire una sorta di macchina del tempo che permettesse ai sopravvissuti di potere mantenere la propria identità. La Duca riteneva che gli edifici e le strutture edilizie di qualsiasi tipo avessero un rapporto simbiotico con coloro che li avevano costruiti e, soprattutto, che li avevano abitati. Per Rosario conoscere la storia di un quartiere, di un centro abitato o di un edificio costituiva la premessa fondamentale per ricostruirne l’identità e l’appartenenza a un determinato contesto.
Nasce proprio in quegli anni il suo approccio alla storia della Palazzo dei Normanni. Pochi sanno che la prima esplorazione e sistemazione del cosiddetto “cortile della fontana” lo si deve proprio al deputato Rosario che, con l’apporto della Soprintendenza, inizia a mettere in luce il complesso degli ambienti arabo-normanni che erano stati sepolti dal materiale di risulta proveniente dalle demolizioni delle torri medievali volute dai viceré nel momento in cui misero mano alla ristrutturazione del palazzo, iniziata intorno alla metà del cinquecento, per trasformarlo da angusta fortezza in palazzo rinascimentale che fosse espressione tangibile del potere della corona spagnola.
La legislatura sta per terminare e Rosario segue con attenzione il dibattito al Parlamento nazionale per la modifica dello Statuto con la quale si porterebbe la legislatura da quattro a cinque anni. Il pensiero di dover prolungare di un ulteriore anno la sua permanenza in sala d’Ercole lo angosciava, non vedeva l’ora di rituffarsi nel suo ordine quotidiano e nei suoi studi sulla Palermo dei tempi che furono.
La legislatura, col suo grande sollievo, si conclude nel quadriennio ma il suo rapporto con il palazzo non verrà meno anzi si rafforzerà quando Pancrazio de Pasquale sarà eletto Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana. I rapporti tra Pancrazio e Rosario erano molto forti e si erano cementati sia per il fatto che La Duca aveva svolto il ruolo di segretario del Gruppo Comunista, sia per le lunghe conversazioni che si svolgevano tra i due dedicati proprio alla ricerca di un’identità non solo di un palazzo ma, soprattutto, di un’isola. Pancrazio lo volle al suo fianco per cercare di riscoprire l’identità del Palazzo dei Normanni offuscata durante il periodo tra le due guerre mondiali per la presenza nel Palazzo Reale sia di alloggi di servizio per il prefetto o per altri funzionari pubblici, sia di istituzioni culturali come la Biblioteca filosofica o l’Accademia di scienze lettere e arti. Inizia proprio in quegli anni non solo il restauro e l’arredamento del palazzo, ma anche la sua migliore e più razionale fruizione da parte delle strutture parlamentari. Un lavoro faticoso che dura cinque anni e che ridisegna completamente le strutture edilizie è, soprattutto, va di pari passo con le profonde riforme regolamentari volute da De Pasquale. Un esempio è costituito dalle Commissioni legislative delle quali sono ridisegnate le competenze e il numero. La Duca, parallelamente, ristruttura il primo e il secondo ammezzato del piano parlamentare ripristinando i saloni seicenteschi rimaneggiati e trasformati dai Borboni nel momento in cui, fuggendo dalla Regno di Napoli, sono costretti a rifugiarsi in Sicilia.
Rosario lavorerà a lungo a questo progetto e il Palazzo anno dopo anno assumerà la sua nuova veste frutto di un’attenta lettura filologica e storica delle vicende edilizie che si sono succedute nei secoli e che Rosario cercherà di rispettare salvando, nello stesso tempo, la funzionalità di un palazzo che vive e si salva dalla distruzione dell’oblio in quanto è la sede del Parlamento regionale.
SUL MUSEO DELLA CITTÀ
di Maurizio Carta
Grazie a Paolo Morello per aver promosso e organizzato la preziosa e potente giornata di studi di ieri dedicata a Rosario La Duca, ma forse dedicata a Palermo, alla sua storia e al suo futuro. Grazie a coloro che sono intervenuti perché hanno restituito una tessera di ricordo personale per ricomporre la figura di La Duca. Sono convinto che oggi Rosario La Duca ci spronerebbe a creare un museo della città concepito come un arcipelago di luoghi e itinerari, di storie e oggetti che abbia anche in un edificio dall’elevato valore simbolico il suo portale di accesso. Non un contenitore ma un motore di ricerca da cui partire per andare ad esplorare il palinsesto della città, per ripercorrerne le storie, per leggerne le memorie, ma anche per scrutarne il futuro. Un museo che si connette ad altri musei e luoghi, un museo policentrico e reticolare, un museo vivo che si prenda cura della città, che nutra la memoria, che custodisca il fuoco delle identità e non si limiti ad adorare le ceneri del passato. Questo per me e per molti di noi che ieri hanno ricordato La Duca è oggi un museo della città: un centro di ricerca, un dispositivo semiotico, un luogo pedagogico e comunicativo, un catalizzatore di bellezza e un attivatore di futuro. Deve essere contemporaneamente analogico e digitale, razionale ed emotivo, visuale ed esperienziale, estetico e politico, come era Rosario La Duca, che il primo nucleo del museo della città non solo lo ha concepito, ma lo ha instillato nella nostra quotidianità attraverso i suoi libri. Infine, il portale di ingresso del museo diffuso della città deve essere un luogo iconico, generatore di bellezza, un edificio di architettura contemporanea.
L’area su cui sorgeva Villa Deliella è luogo ideale, anche per risarcire questa città degli oltraggi del suo recente passato. E cosa meglio di memoria e futuro, di storia e progetto, possono ripagare la nostra comunità ferita nel cuore della sua città? Discutiamone insieme, decidiamo insieme, progettiamo insieme.