Come salvare la propria anima con il testamento nel XIII e il XV secolo
Il testamento è un atto scritto attraverso cui un soggetto esprime le proprie volontà ante mortem. Con questo documento il testatore può distribuire i beni patrimoniali ai propri eredi e, al contempo, dare delle specifiche disposizioni atte alla salvezza della sua anima. Il testamento medievale era usato già largamente nel XII secolo ma con delle modalità differenti da quelle dei secoli presi in esame dove, grazie alla reintroduzione del sistema legale romano, gli individui ebbero la facoltà di decidere autonomamente la linea ereditaria di successione. Precedentemente la proprietà era trasmessa secondo le leggi germaniche, le quali prevedevano sia dei lasciti pii che una spartizione del patrimonio uguale per tutti gli eredi che, a volte, non era interamente legata alla volontà del testatore, ma solamente alle consuetudini vigenti.
Oltre che un atto di diritto privato che regolamentava la successione dei beni, il testamento era un atto religioso obbligatorio imposto dalla Chiesa, pena la scomunica: chi moriva intestato non poteva, di norma, essere sepolto in chiesa o nel cimitero. Esso era anche un mezzo con cui il testatore in parte si confessava, rendendo il documento anche uno sfogo personale nel quale è possibile cogliere i sogni, i pensieri, le ambizioni e le aspirazioni del soggetto.
Talvolta accadeva che, prima della redazione ufficiale, il testatore esprimesse oralmente o in maniera nuncupativa (trasmissione orale con presenza di testimoni) le proprie volontà, mentre altre volte la stesura del documento era autografa e in volgare e, successivamente, il notaio si premurava di riscrivere il tutto in latino, senza modificare le volontà del testatore. Altre volte accadeva che a redigere il testamento era un prete e, per ognuno di questi esempi, ci si potrebbe domandare quanto il linguaggio di un testamento sia dovuto alla penna del notaio e quanto al dettato personale del testatore. Lasciando un attimo da parte le perplessità, ciò che traspare dai documenti molte volte è chiaro, incluse le percezioni sull’aldilà. Su questo argomento e per rendere chiara la percezione della morte che l’uomo medievale aveva in quel periodo, è necessaria aprire una breve parentesi: L’escatologia cristiana medievale presenta alcune differenze fra un secolo e l’altro. Nel XII secolo si ha dapprima la credenza del giudizio finale dell’Apocalisse e, poco più tardi e fino al XIII secolo, prende vita l’idea del giudizio collettivo di Cristo che, attraverso una valutazione dell’anima tramite San Matteo (e in seguito l’angelo custode), divide i giusti dai dannati. Da metà XIII secolo si pensa che le anime non venissero più valutate tutte insieme e alla fine del mondo ma giorno per giorno, attraverso le azioni compiute in vita e, soprattutto, soggettivamente. Dal XIV al XV secolo l’iconografia mostra una morte concepita sul letto del moribondo e che quest’ultimo, prima di spirare, venga visitato – oltre che dai suoi cari – anche da presenze che solo lui può vedere: Dio (che poi verrà sostituito con l’Angelo Custode) e il Diavolo. Questi ospiti hanno una lista (in alcune iconografie viene tenuta dal moribondo) dove sono presenti sia le buone azioni che quelle cattive e, a volte, il Diavolo reclama una parte di quell’anima mentre gli esseri celesti non proferiscono parola. Per redimere totalmente i suoi peccati ed essere accolto in Paradiso, il morto deve scontare una pena temporale nel Purgatorio, un luogo d’attesa per le anime a cui Dio ha concesso un probabile perdono.
Andando oltre la visione escatologica, il testamento vantava d’essere un atto unilaterale, chiaro esponente della volontà di un soggetto senza la commistione di altre parti e, inoltre – e sempre grazie all’introduzione delle nuove leggi –, era un atto revocabile in grado di concedere la capacità legale di poter rivedere costantemente le relazioni fra i membri e i beni della famiglia, oltre che esprimere i pieni poteri del testatore nei confronti del documento e dei suoi beni. In questa sede ci si soffermerà solamente su alcuni punti che componevano il testamento: i legati pro anima (i lasciti pii e la restituzione dei male ablata), la scelta delle sepolture e delle esequie funerarie e la suddivisione del patrimonio fra gli eredi.
Secondo una celebre frase di Le Goff, il testamento era un “passaporto per il Cielo”, un mezzo attraverso cui redimere la propria anima (o tentare di farlo) post mortem per i peccati commessi in vita. Stando alle donazioni effettuate e ai vari provvedimenti descritti nei documenti, la maggior parte dei soggetti era a conoscenza del male perpetrato in vita, ma non sapeva in che misura doveva compiersi il bene per poterlo eliminare dalla propria coscienza. Vi erano diversi modi che, di conseguenza, dovevano adattarsi all’escatologia del periodo, ma che al contempo riprendevano delle prassi che si erano consolidate già nei secoli passati. Le messe d’interdizione erano le principali fonti di sconto dei peccati e alcuni testatori davano dei chiari ordini su dove si dovessero celebrare e, soprattutto, in che misura.
Oltre alle messe veniva specificato anche il luogo della sepoltura che, per la maggior parte degli aristocratici, era situato dentro una chiesa alla quale erano legati che, a sua volta, era quella che riceveva la maggior parte dei lasciti pii dell’individuo. Denaro e beni sia mobili che immobili erano i principali donativi all’universo ecclesiastico per epurare l’anima e, come possiamo notare dalle testimonianze di donazioni, dalle preferenze di luogo di sepoltura e dai nomi dei testimoni di alcuni documenti, alcune figure importanti in questo momento della vita del testatore – ma anche in questo periodo – erano i frati mendicanti. Certi beni erano intestati ai Mendicanti oltre che al clero secolare e ogni individuo si legava a un particolare Ordine che veniva poi ricordato nel testamento. I frati svolgevano il ruolo di consiglieri spirituali, ossia coloro che indirizzavano il testatore nelle modalità dei lasciti pii e per la restituzione dei male ablata, ovvero i beni acquisiti in maniera illecita. Non è il caso di elencare in questa sede le diverse varianti di restituzione dei male ablata, ma va sottolineato che quando non era possibile risalire al soggetto da risarcire, i male ablata definiti incerti venivano affidati a una persona ecclesiastica che, secondo il pensiero del tempo, poteva garantire un corretto indirizzo a quella delicata operazione. L’enorme quantità di beni accumulati in vita favorisce coloro che vogliono diminuire il periodo da scontare in Purgatorio e che cercano di pentirsi per sfuggire all’Inferno; la loro ricchezza, lungi dall’essere una maledizione, appariva piuttosto come una via d’accesso privilegiata alla santità.
Se i legati pro anima erano rilevanti, parimenti importanti risultavano i beni destinati agli eredi che, come è stato detto in precedenza, erano un’esclusiva decisione del testatore e che, in questo periodo, non solo dipendevano dal lignaggio, ma favorivano i figli a spese delle figlie e i figli maggiori a spese dei figli minori; anche se in alcune circostanze è necessario valutare il rapporto affettivo tra il genitore e la prole. In linea di massima il patrimonio difficilmente arrivava alle figlie perché potevano optare o per la concessione dote promessa dal padre o per una parte dell’eredità.
Le donne ereditiere erano in grado di assicurare alla famiglia originaria dei veri e propri vincoli di sangue con gruppi di lignaggio differenti, i quali potevano sia incrementare il patrimonio originario che stipulare delle vere e proprie alleanze. Una sorte differente spettava però alle mogli dei testatori che ricevevano indietro la propria dote e in misura diversa a seconda del rito utilizzato durante il matrimonio (greco o latino) e, a volte, potevano essere tutrici dei figli, anche se il ruolo spettava ai fratelli o alle sorelle del moribondo.
In definitiva, i testamenti rappresentano un’importante fonte storica ed è necessario studiarli attentamente dal momento che sono dei documenti che manifestano le volontà personali del testatore, incluse le proprie preferenze, i propri affetti e le proprie credenze che, oltretutto, sono collegate anche allo status dell’individuo. Per ciò che concerne la paura della morte, gli studi sui testamenti permettono di dare un volto diverso all’uomo medievale tra i secoli XIII e XV: egli è un materialista molto attaccato alla vita e, più che ad essa, ai beni accumulati e tesaurizzati durante il proprio vissuto. La paura della morte non doveva trovare ragion d’essere nella concezione cristiana del mondo mortale, ma le disposizioni testamentarie e la volontà di trasmettere il proprio patrimonio (nella speranza di frammentarlo il meno possibile) dimostrano un diverso punto di vista.
Per ulteriori informazioni sui testamenti fra il XIII e il XV secolo, per alcuni esempi sulle ultime volontà e per un panorama completo sull’idea della morte in questo periodo, potete consultare:
– Ariés Philippe, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, Laterza, Bari, 1979;
– Gatti Gerardo, Autonomia privata e volontà di testare nei secoli XIII e XIV, in Biblioteche e Archivi della Giunta Regionale dell’Umbria, Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte religiosa e sociale, in Archivi dell’Umbria. Inventari e ricerche, Editrice umbra cooperativa, 7, Perugia, 1985, pp. 16-17;
– Giansante Massimo, Male ablata. La restituzione delle usure nei testamenti bolognesi fra XIII e XIV secolo, in Rivista Internazionale di Diritto Comune, Euno Edizioni, 22, Leonforte, 2011, pp. 183-216;
– Huges Diane O., Struttura familiare e sistemi di successione ereditaria nei testamenti dell’Europa medievale, in Quaderni storici, 11, Il Mulino, Bologna, 1976, pp. 929-952;
– Le Goff Jacques, La nascita del Purgatorio, Einaudi, Torino, 1996;
– Nicolini Ugolino, I frati Minori da eredi a esecutori testamentati, in Biblioteche e Archivi della Giunta Regionale dell’Umbria, Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte religiosa e sociale, in Archivi dell’Umbria. Inventari e ricerche, Editrice umbra cooperativa, 7, Perugia, 1985, pp. 31-34 ;
– Petrucci Armando, Note sul testamento come documento, in Biblioteche e Archivi della Giunta Regionale dell’Umbria, Nolens intestatus decedere. Il testamento come fonte religiosa e sociale, in Archivi dell’Umbria. Inventari e ricerche, Editrice umbra cooperativa, 7, Perugia, 1985, pp. 11-15;
– Russo Maria .A., Giovanni I Ventimiglia: un uomo al servizio della monarchia, “Archivio Storico Siciliano”; serie IV, XXXIV-XXXV, 2008-2009, pp. 43-93;
Id. I testamenti di Matteo Sclafani (1333-1354), in Mediterranea Ricerche Storiche, 5, NDF, Palermo, 2005, pp. 521-566;
Id. Matteo Sclafani: paura della morte e desiderio di eternità, in Mediterranea Ricerche Storiche, 6, NDF, Palermo, 2006, pp. 39-68;
– Sciascia Laura, Memorie di una lettrice di testamenti (secc. XIII-XV), in Mediterranea Ricerche Storiche, 40, NDF, Palermo, 2017, pp. 375-402.