Sansepolcristi e fascisti
“Sansepolcristi” si definirono i partecipanti alla riunione presso il palazzo degli Esercenti a Milano in piazza san Sepolcro. Era il 23 marzo 1919, cento anni fa. Furono convocati da Benito Mussolini e fondarono i Fasci di Combattimento. Ma non fu l’atto di nascita del fascismo, nonostante che durante il ventennio fosse ricorrente, anche da parte di Mussolini, il riferimento ad esso come evento generico, fondativo, abbrivio del movimento: l’uso predatorio del passato, così tipico di tutti i regimi, aveva trasformato il raduno nell’avvio di una stagione politica che, a quella data, il 1919, niente lasciava credere e nessuno – neppure Mussolini – poteva immaginare. Del resto molti partecipanti non aderirono al Fascismo.
Il raduno milanese di San Sepolcro fu piuttosto la testimonianza di un clima, di un paese stravolto dalla guerra, smarrito e disorientato, che aveva ben chiara l’esigenza di abbandonare “il mondo di ieri”, ma non altrettanto chiara la prospettiva del nuovo. La forma politica del domani era ancora oscura.
Meno di un mese dopo, il 15 aprile, il primo atto squadrista: l’assalto alla sede del giornale del Partito socialista, l’Avanti. Altri ne sarebbero seguiti.
Nello stesso giorno centenario del raduno è stata inaugurata in piazza san Sepolcro una mostra organizzata dal master in Public History, attivo presso il Dipartimento di Studi Storici dell’Università Statale di Milano, e dalla Fondazione Feltrinelli. Preziosissimi documenti e fonti fotografiche sono offerti nell’esposizione che ricostruisce il contesto entro cui si iscrisse l’evento: tra Arditismo, propaganda mussoliniana fra i reduci, rivendicazione della Dalmazia italiana, Futurismo, ma anche Democratismo. L’esposizione, come è scritto nella sua presentazione, <<descrive l’inquietudine del paese e della città nei mesi che seguirono la fine delle ostilità e suggerisce come il clima di disorientamento favorisse la nascita del fascismo ma non ne fu l’atto di fondazione>>. Si tratta di un’occasione per ricostruire e interpretare correttamente il raduno di san Sepolcro.
All’uso predatorio della storia non si sottrae invece Antonio Scurati, l’autore di “M”, discusso romanzo – biografia su Mussolini, che, in un articolo apparso con molta evidenza il 23 marzo su “La Repubblica”, riprende, senza peraltro la nobiltà etico-politica della fonte originaria, gli argomenti della letteratura sul “carattere degli italiani”, prodotta nella congiuntura critica del 1943-44: quella letteratura che ritenne il fascismo una sorta di “rivelazione” degli endemici tratti negativi della nostra storia.
L’autore intende, dall’alto della sua esperienza, nientemeno che <<svelare il grande rimosso che accompagna la storia italiana>>. E scrive: <<Noi siamo stati fascisti. Gli italiani sono stati fascisti. Il genius italico ha generato il fascismo>>. Poi così continua, dispensando il suo verbo e incitando gli italiani, novello apostolo, ad un sussulto di coscienza civile: <<La mia affermazione è perentoria perché, in anni di studio e scrittura sull’argomento, mi sono convinto che sia giunto il tempo di un allargamento della coscienza civile, di una nuova, più ampia, più consapevole, più veritiera narrazione dell’identità nazionale>>. L’antifascismo per Scurati è solo vuota retorica se rimuove il lato oscuro degli italiani, che è una sorta di predisposizione quasi genetica al fascismo. Pertanto è giunta l’ora di <<completare la coscienza nazionale con la consapevolezza di essere stati fascisti>>.
E, naturalmente, si ripresenta in Scurati la coazione a ripetere: la spiegazione diffusa, cioè, del processo storico, ben più complesso, tutto identificato e risolto nelle sue presunte origini. E così <<quella piccola accozzaglia di reduci, facinorosi, delinquenti, sindacalisti incendiari e gazzettieri disperati, professionisti della violenza e artisti, guidati da un leader pronto a ogni tradimento, a ogni nefandezza (…) nell’arco di soli tre anni conquistò il potere>>. E <<i fascisti delle origini furono affascinanti e sciagurati>>, Mussolini <<creò l’archetipo>> (ancora un riferimento antropologico-metafisico) del leader che guida un popolo, non precedendolo verso mete elevate ma seguendone gli umori più cupi>>.
Non mancano i riferimenti all’attualità, secondo una procedura tipica di chi, invece di capire il senso profondo del passato per meglio interpretare il presente storico, lo schiaccia completamente e senza residui su quest’ultimo. Anche se forse Scurati, in un rigurgito finale di resipiscenza, si affretta a chiudere il suo sermone avvertendo che il fascismo non si ripeterà, ma invitando a <<riconoscere le continue metamorfosi storiche della pulsione antidemocratica>>.
Peccato solo che il suo non sia il miglior viatico per realizzare questo obiettivo.
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