Scorbuto e limoni. Sulle origini della Mafia
È bastato un saggio di nemmeno cinquanta pagine a richiamare l’attenzione. Un lavoro dal titolo promettente, Origins of the Sicilian Mafia: The Market for Lemons, firmato da Arcangelo Dimico, Alessia Isopi e Ola Olsson, pubblicato su una rivista prestigiosa come «The Journal of Economic History», a tutti accessibile per uno dei consueti miracoli di internet all’indirizzo https://pure.qub.ac.uk/portal/files/128795793/mafia_complete.pdf.
Gli autori sono due giovani studiosi italiani a cui si è aggiunto uno svedese: Arcangelo Dimico e Alessia Issopi frequentavano un dottorato di ricerca in economia a Nottingham, Ola Olsson era docente in quell’Università. L’input necessario a far partire la curiosità e quindi la ricerca è arrivato dal libro di John Dickie sulla storia della mafia, pubblicato nel 2004. Dickie presta molta attenzione al problema delle origini, soffermandosi sulla produzione e sul traffico degli agrumi; i due ragazzi italiani hanno fatto ancora un passo indietro.
Raggiunto a Belfast, Arcangelo Dimico dice che all’inizio lui e Alessia sono colpiti dall’entità dei profitti garantiti dalla coltivazione degli agrumi: cominciano a raccogliere dati, analizzano l’andamento dei prezzi, cercano una possibile spiegazione. Alessia a Roma frequenta l’Archivio di Stato e fotografa i manoscritti dell’Inchiesta Jacini, ordinata dal Parlamento nel 1877 per conoscere “le condizioni della classe agricola”, dove a firmare la relazione della circoscrizione Sicilia è il crispino Abele Damiani da Marsala.
Damiani aveva costituito dei comitati, a Palermo e nei centri agricoli; aveva fatto le sue indagini e poi aveva concluso che la presenza della maffia, come allora si chiamava, era associata alla prevalenza della coltura agrumaria. Anche Antonino Cutrera, che nel 1900 pubblica La mafia e i mafiosi sarebbe arrivato a conclusioni molto simili. In pratica Damiani, Cutrera e tutti gli altri a seguire descrivono una Sicilia che ha il monopolio del commercio dei limoni, cioè di un prodotto pregiato e richiesto dai mercati. L’ipotesi di Dimico, Issopi e Olsson è che la crescita e il consolidamento della mafia siano associati a uno shock esogeno provocato dalla scoperta dello scozzese James Lind sull’efficacia degli agrumi nella cura dello scorbuto: bisogna risalire al maggio del 1747 quando James Lind, medico di bordo della Salisbury, compie un esperimento che dimostra come i malati di scorbuto rapidamente guariscano se mangiano limoni o arance ricchi di vitamina C.
Per comprendere l’importanza della scoperta di Lind occorre tenere presente che lo scorbuto è la prima causa di morte sulle flotte che affrontano lunghi viaggi. Addirittura, andando a spulciare i dati per vedere quanti marinai sono morti in battaglia e quanti per lo scorbuto durante la Guerra dei sette anni (1756-63), dei 185 mila marinai registrati oltre 130 mila muoiono per lo scorbuto e solo 2 mila per quelle che Dimico definisce “causalità legate alla guerra”. Nel 1795 la Royal Navy inserisce i limoni nella dieta dei marinai, e per la Sicilia comincia la “rivoluzione agrumaria”: i profitti si moltiplicano, si crea lo spazio per quello che sarebbe poi stato definito l’intermediario mafioso.
Il saggio di Dimico, Isopi e Olsson richiama un concetto complesso come la “maledizione delle risorse”, in genere adoperato per spiegare la cronica povertà delle nazioni africane, e ripropone un vecchio quesito: è stata la povertà o l’abbondanza a generare la mafia? Se i 740 barili di succo di limone del 1837 diventano 20.707 nel 1850, e le 5.818 sterline spese dall’Inghilterra nel 1837 sono quasi 625 mila nel 1850, diventa evidente come la crescita speculativa del commercio agrumario abbia favorito il radicarsi del metodo mafioso.
Il boom agrumario attraversa tutto il secolo. Negli anni fra il 1898 e il 1903 l’80% dei limoni statunitensi proviene ancora dall’Italia, cioè in gran parte da una Sicilia che ne risulta trasformata. Gli agrumeti si impiantano ovunque sia possibile trovare l’acqua per irrigarli, la vendita necessita di una complessa rete commerciale. E in tutte le fasi della produzione e del commercio troviamo la presenza dell’intermediario o dell’imprenditore mafioso, che utilizza la capacità di adoperare la violenza come scorciatoia per la buona riuscita dei suoi affari: sarà perché il boom agrumario ha per protagonista una particolare borghesia, uomini che Franchetti definisce “facinorosi della classe media”.
Quindi ben vengano le analisi degli economisti che sostanziano con le cifre le origini di quella mafia che Dimico, Isopi e Olsson definiscono una delle istituzioni economiche europee più dannose dell’età moderna. Non sarebbe però un male se i riferimenti storici fossero documentati come i dati economici, perché leggere – a p. 5 – che dal 1805 al 1812 la Francia domina la Sicilia, e nel 1812 ne modernizza le arcaiche istituzioni introducendo una costituzione lascia molto perplessi. E viene da pensare che gli economisti dovrebbero riservare una parte della loro attenzione anche alla storia della Sicilia.