Nell’officina dello scriba. Breve storia degli strumenti per la scrittura – Parte seconda
Il codice in caratteri arabi: i manoscritti arabi, persiani e turchi
Il calamo
Qalam, dal lat. calamus, gr. kálamos, «fusto sottile di alcune piante», è il nome arabo dato al calamo ricavato da una canna (Arundo donax, Phragmites communis) o anche da steli di graminacee o di rosa. Il termine si trova citato in tre passi del Corano, LXVIII:1, la così detta Sura del calamo (Nūn. Lo giuro per il calamo e per quello che essi registrano!); III:44 a proposito della storia di Maria (Tu non eri tra la folla quando essi gettavano nel fiume il calamo, per avere il responso su chi di loro si sarebbe preso cura di Maryam); XXXI:27 (Se tutte le piante che esistono sulla terra diventassero una serie di calami). Il taglio della canna per ottenere il calamo variava da paese a paese e a secondo del tipo di scrittura che lo scriba voleva utilizzare, ottenendo un tratto più o meno grosso. L’operazione del taglio della punta era assimilabile a un vero e proprio rito, un po’ come avveniva in Europa con il taglio della penna d’oca. Il taglio era eseguito dai lati verso l’alto, in modo da fare emergere il becco. Collocata davanti a un supporto, miqaṭṭ o miqaṭṭah, in turco maqta’, che permetteva di mantenere la canna in posizione orizzontale e stabile, ne veniva tagliata con un colpo netto l’estremità, secondo un’angolazione il cui valore era ed è oggetto di particolare attenzione da parte dei calligrafi. Questo supporto (miqaṭṭ) nel mondo ottomano era molto elaborato, spesso intagliato in avorio, madreperla o in osso; la sua superficie presentava una protuberanza concava nella sua parte superiore, destinata a stabilizzare la canna. Nel Maghreb i copisti utilizzavano un calamo dalla forma molto differente ottenuta dal fusto di una canna (Arundo donax) tagliato in lamine. Il calamo poteva essere anche in metallo, forse importato dall’India, come attesterebbe un passo delle Mille e una notte (58a notte) ma non è conosciuto nessun esemplare. In tempi moderni, G. Mandel Khân fornisce una descrizione del possibile taglio del calamo: «I calami hanno diametri molto vari, dal paio di millimetri a qualche centimetro. Calami con la punta più larga si possono ricavare da assicelle di legno tenero. Una volta tagliata nella sezione necessaria, lunga all’incirca ventiquattro centimetri, la cannuccia vien lasciata cadere su una superficie dura. Si sente così dal suono che dà, se è buona, senza fenditure, senza fessurazioni. Si taglia poi il becco con una lama diritta, sottile e ben tagliente; una sorta di rasoio. Il taglio parte dal corpo verso la punta con una lieve incurvatura concava. La punta è appiattita da tutti i lati, a forma di becco; poi si procede al taglio obliquo del becco poggiando la cannuccia su una superficie apposita. Infine si fende il becco in senso verticale, secondo una opportuna proporzione delle parti (o alla metà, o a due terzi, ecc.). I vari modi di tagliare il becco del calamo si prestano infatti a variazioni calligrafiche. Si può dire che per ogni carattere [dell’alfabeto arabo] c’è la sua propria inclinazione».
Il calamo era utilizzato per scrivere sulla pergamena e sulla carta ma sul papiro, che presentava una superficie più rugosa rispetto agli altri supporti, dall’analisi della scrittura si ritiene che fosse utilizzato un pennello; attualmente però non è conosciuto nessun esemplare.
Il coltello
Come nel set di strumenti del copista occidentale e orientale, anche in quello arabo c’era un coltello per temperare il calamo ed eventualmente grattare le parole errate dalla pergamena. Questo strumento, in arabo chiamato sikkīn o sikkīnah, destinato principalmente a tagliare un materiale resistente come le canne, doveva possedere una lama d’acciaio della migliore qualità, molto tagliente, al punto di divenire pericolosa, con un manico generalmente in legno.
Il calamaio
Il calamaio, miḥarah o maḥbarah, era fornito di uno stoppino o tampone di lana o cotone (līqah) che doveva permettere di controllare la quantità d’inchiostro prelevato con il calamo. Per evitare la formazione di deposito sul fondo e per assicurare l’omogeneità della miscela, il copista utilizzava un bastoncino (milwāq). Nel XVIII secolo Murtaḍā al Zabīdī, nel suo trattato sulla calligrafia, raccomanda: «Il calamaio non deve essere di forma quadrata, poiché se così fosse l’inchiostro si addenserebbe, mentre la forma più adeguata per la sua manutenzione è quella circolare, funzionale per intingere il calamo, idonea a ottimizzare la conservazione».