Sindona, asse Palermo-New York. Svelati bugie, intrighi e misteri
L’ipotesi secondo cui Sindona cercava di recuperare dei documenti da utilizzare come arma di ricatto per ottenere un esito favorevole delle sue vicende giudiziarie, sembra trovare ulteriore riscontro in due gravi episodi che riguardarono Enrico Cuccia, considerato da Sindona uno dei suoi peggiori nemici, e che testimoniano, ancora una volta, come Sindona godesse dell’appoggio del crimine organizzato siculo-americano.
Ci si intende riferire alla lettera minatoria ricevuta da Cuccia e all’incendio appiccato alla porta di ingresso della sua abitazione. Ebbene, la lettera contenente delle gravi minacce nei confronti del noto banchiere, risultava inviata da Roma il 18 settembre 1979, giorno in cui, come fu accertato, si trovavano a Roma Salvatore Macaluso e Antonio Caruso, personaggi strettamente legati a Sindona e coinvolti nel suo finto rapimento. Non solo, la lettera di minacce risultò redatta con una macchina per scrivere che Miceli Crimi aveva procurato a Sindona.
L’episodio dell’incendio fu poi seguito da una telefonata con cui un anonimo interlocutore diceva alla figlia di Cuccia, che aveva ricevuto la telefonata: “Visto che bella fiammella? Di a tuo padre che se non fa quello che vogliamo vi bruceremo tutti vivi! Siamo amici del signore di New York che lui sa”.
Induce ancora a propendere per l’ipotesi del recupero dei documenti il contenuto di due lettere consegnate al Caruso da Sindona nella abitazione di Palermo di Paola Longo ed indirizzate alla figlia Maria Elisa e al genero Piersandro Magnoni.
Dal contenuto di tali lettere, consegnate al giudice istruttore per il tramite del giornalista Enzo Ficile (e delle quali Caruso aveva estratto copia) si rileva come Sindona tentasse di ottenere un intervento a suo favore da parte di personaggi prestigiosi, quali Leonardo Sciascia o Pannella, intervento che avrebbe dovuto riabilitarlo di fronte all’opinione pubblica. Scriveva così Sindona riferendosi a Leonardo Sciascia: “Oggi è molto sentito e non solo perché radicale. Non sa nulla di noi ma amici gli hanno parlato della situazione ed è convintissimo della persecuzione”. Suggeriva quindi di redigere un memoriale, preparato dagli avvocati, con cui confutare “le inesattezze e le buffonate dei giornalisti, Mondo in Testa”, da fare avere in copia a Sciascia che “se ne farebbe il paladino”. La stessa cosa si sarebbe dovuta fare con Pannella. Ed ancora: “il nome è prestigioso e, se ben guidato, potrebbe avere una grossa risonanza. A nostro avviso è di vitale importanza partire subito per influenzare le Commissioni”.
Sciascia ammise di avere avuto degli incontri sia con Giuseppe Macaluso che con il figlio di Sindona, Marco, incontri in cui cercarono di interessarlo alla vicenda del finanziere che gli descrissero come vittima di una persecuzione politica. Sciascia, peraltro, come ebbe a dire ai giudici palermitani, dopo avere promesso vagamente il suo interessamento non ne fece nulla.
Ci si è sempre chiesto se Sindona sia riuscito a entrare in possesso dei più volte menzionati documenti e in particolare della famosa lista dei 500. Secondo quanto riferito da Miceli Crimi, sembrerebbe di si, e ciò avuto riguardo a quanto da lui appreso dallo stesso Sindona. Questi infatti gli avrebbe confidato di essere entrato in possesso di una parte dei documenti durante la sua permanenza a Palermo e che successivamente sarebbe riuscito a recuperare la parte di documentazione mancante.
Ancora più evidente appare l’interessamento della mafia americana nel prosieguo della vicenda nella quale emerge il ruolo determinante avuto da John Gambino, autorevole esponente appunto della omonima famiglia mafiosa di New York
Sindona viene trasferito dalla abitazione di Paola Longo a Palermo in un villino di proprietà dei suoceri di Rosario Spatola, sito in contrada Piano dell’Occhio di Torretta. Ciò avviene con l’intervento di John Gambino che il 6 settembre arriva a Palermo dove si incontra con frequenza con Rosario Spatola e con Miceli Crimi.
Sindona sin dall’inizio aveva cercato di accreditare la tesi di un suo rapimento ad opera di una organizzazione eversiva di sinistra e fu lo stesso Sindona che ideò la messa in scena del ferimento che gli sarebbe stato provocato mediante l’esplosione di un colpo d’arma da fuoco nel corso di un tentativo di fuga dai sequestratori. In realtà il ferimento fu concordato con John Gambino, con Miceli Crimi e con la Longo.
Scrive in proposito il giudice istruttore nella richiesta di rinvio a giudizio di Sindona e degli altri imputati: “Le modalità di tale ferimento, ormai, sono sufficientemente chiare. Miceli, infatti, dopo parziali ammissioni e dopo avere tentato di sostenere di avere usato ferri chirurgici, ha ammesso di avere ferito il Sindona con un colpo di pistola, mentre Gambino sorreggeva Sindona stesso. Più precisamente, dopo avere praticato una anestesia locale ed avere apposto una benda di garza nella parte posteriore della coscia (per evitare che si potesse accertare che il colpo era stato sparato a bruciapelo) Miceli lasciava partire il colpo di pistola e quindi procedeva al bendaggio della ferita”.
Ricordo che insieme al giudice Falcone mi recai nel villino di Piano dell’Occhio dove Miceli Crimi ci mostrò, su una persona che impersonava Sindona, le modalità con cui aveva ferito Sindona. Per inciso va detto che gli organi investigativi americani verificarono, attraverso accertamenti medico-legali, che la ferita riportata alla coscia da Sindona aveva raggiunto un soggetto che si trovava fermo e non in movimento così smentendo l’assunto di Sindona secondo cui sarebbe stato raggiunto dal colpo di pistola mentre fuggiva dai rapitori e quindi mentre era in movimento.
Il 1° ottobre Sindona, da Torretta viene trasferito nuovamente a Palermo a casa della Longo (che risulterà iscritta alla sezione femminile della Loggia massonica C.A.M.E.A) ed hanno inizio le attività volte ad organizzare il rientro di Sindona a New York con l’aiuto di John Gambino, degli Spatola e di Miceli Crimi. Così il 1° ottobre John Gambino arrivava a Palermo e il successivo 2 ottobre, Rosario Spatola, utilizzando il falso passaporto di Sindona, intestato a Joseph Bonamico, effettuava presso la Sicilcassa una operazione di cambio di circa 100.000 dollari il cui controvalore in lire italiane viene accreditato sul conto corrente dello stesso Spatola. Non è da escludere che tale somma fosse il compenso dato dal Sindona o dalla “famiglia” Gambino agli Spatola per l’opera dagli stessi prestata per l’organizzazione del viaggio di Sindona in Sicilia.
Secondo quanto riferito dalla Longo ai magistrati palermitani, Sindona venne accompagnato all’estero da John Gambino e da Francesco Foderà. Lo stesso, dopo avere fatto tappa a Vienna, il 13 ottobre partiva da tale città per Francoforte arrivando a New York alle ore 18,40 dello stesso giorno. Sindona viaggiava sempre con il falso passaporto intestato a Joseph Bonamico tant’è che, nella dichiarazione doganale compilata all’arrivo a New York del passeggero Joseph Bonamico, l’F.B.I. rilevò due impronte di Michele Sindona.
La vicenda del finto sequestro di Sindona è degna di una fiction televisiva. Dimostra come tale sequestro venne gestito, dall’inizio alla fine, dall’organizzazione mafiosa siculo americana e in particolare dal clan Spatola- Gambino- Inzerillo nonché da personaggi appartenenti alla massoneria.
Ciò che più sconcerta è la constatazione che operarono congiuntamente, per lo stesso fine e l’uno accanto all’altro, mafiosi, massoni, personaggi come Joseph Miceli Crimi, per lunghi anni medico della polizia e genero di un Questore e massone influente, liberi professionisti come il dottor Barresi, pubblici dipendenti come l’insegnante Francesca Longo.
Scriveva in proposito il giudice istruttore Giovanni Falcone nella sentenza istruttoria che concludeva il processo a carico di Rosario Spatola: “Solo se si riesce a comprendere quanto sia complessa la ragnatela di complicità e connivenze tra organizzazioni mafiose, sicuramente criminali, ed altri ambienti che non hanno avuto alcun ritegno a servirsi di tali organizzazioni (venendone invece pesantemente condizionati) si comprende altresì perché la vicenda Sindona è potuta accadere e perché la stessa ha avuto Palermo come punto di riferimento”.
Essa aprì allora uno spiraglio per comprendere i perversi intrecci tra mafia, politica, massoneria ed altri poteri occulti, intrecci che anche oggi potrebbero fornire, anche alla luce di ciò va emergendo dalle indagini giudiziarie, se non la soluzione, una chiave di lettura unitaria di tanti gravi eventi criminosi verificatisi in Sicilia e in Italia dagli anni 70 ad oggi.