STORIA E BIOGRAFIA
Negli ultimi decenni nell’ambito del discorso storico, ivi compresa anche la produzione storiografica vera e propria, l’attenzione alla biografia è risultata crescente diventando, nelle sue varie forme e tipologie, una delle protagoniste della riflessione e della ricerca storica. E ciò già a partire dagli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso e poi in coincidenza con la “fine delle ideologie” e della messa in discussione del paradigma della cosiddetta “storia scientifica”, “oggettiva”, basata quasi esclusivamente su elementi quantitativi e statistici; così come in coincidenza del logoramento della “storia totale”, appiattita e frammentata, più che unificata, dalla continua dilatazione e differenziazione degli oggetti storiografici.
È un fatto che storici assai diversi per età, provenienza nazionale, formazione intellettuale e scelte ermeneutiche si siano ritrovati, a un certo punto della loro carriera, nell’accordare la preferenza alla biografia, alla vita di un individuo o di categorie di individui. Si può dire che la biografia, intesa come genere e strumento, si è sempre più diffusa e utilizzata anche da parte di quegli storici che l’avevano trascurata, avversata o snobbata per motivi occasionali o filosofici.
A tal proposito basti pensare a Jaques Le Goff e a Carlo Ginzburg, ma anche a Rosario Romeo e Renzo De Felice e ad altri ancora. Infatti, andando più indietro con la memoria vengono in mente alcuni storici attivi soprattutto tra le due guerre mondiali. Per esempio, Benedetto Croce, che aveva avversato il biografismo deteriore, oppure Lucien Febvre, cofondatore delle “Annales”, che criticava i “totem” della storiografia, tra cui figurava “l’idolo individuale”, rappresentato soprattutto dai “grandi uomini”. Eppure anche loro avrebbero ceduto alle lusinghe della biografia. Croce con le opere da lui considerate minori, ma che, come disse Chabod, minori non erano affatto, aveva ricostruito -in sincronia con la sua revisione teorica ne “La storia come pensiero e azione”- alcune straordinarie biografie e storie napoletane di avventura, di fede e di passione in un modo che accentuava fortemente, come notò ancora Chabod, l’opera e la libertà degli individui, considerati molto poco simboli o rappresentanti dello spirito del mondo. Analogamente Febvre, con la sua eterodossa biografia di Lutero, aveva costituito la prima significativa eccezione nel mondo della nuova storiografia francese, rappresentando, come osservò Marina Cedronio, la voce che valorizzava l’individuo e gli eventi, di contro alla loro svalutazione in nome della struttura e della lunga durata.
È però soprattutto dagli ultimi decenni del ‘900 che molti storici non solo si rimisero a scrivere biografie e a gettare alle ortiche i calcalatori, come confessò Lawrence Stone negli anni ’70, ma cominciarono pure a criticare manifestamente gli indirizzi della nuova storiografia, sempre più ripiegata sul quantitativo, sul microstorico e sempre più povera di esiti significativi. Si pensi alle perplessità di Arnaldo Momigliano che, a proposito dell’attività della Sixième Section dell’Ecole des Hautes Etudes, si chiedeva se fosse possibile agli storici “enumerare gli innumerevoli aspetti della vita”. Oppure si ricordi che nel 1974 Rosario Romeo affermava senza reticenze che la vera vittima dell’ambiziosa storia “à part entière” era stato ed era l’uomo nella sua dinamica temporale; così come nel 1976 Franco Venturi sostenne che la vera sintesi storica era rappresentata dall’individuo.
Il ritorno alla biografia, alla dimensione temporale della vita umana come fondamento della storia ha segnato anche un ritorno al racconto, al paradigma narrativo che ha portato a rivendicare, da parte di molti teorici della storiografia più che da parte degli storici di mestiere, il superamento della contrapposizione tra spiegazione e narrazione storica e a far riutilizzare addirittura vecchi termini come empatia, buon senso e perfino retorica per definire il lavoro dello storico.
Viceversa, gli storici di mestiere hanno più insistito sul fatto che il lavoro dello storico molto ha a che fare con il “libero arbitrio” (Elton); con il valore aggiunto rappresentato dalle possibilità della volontà umana (Galasso); con le motivazioni soggettive degli individui (Tosh); con il rapporto tra particolare e generale, tra individuo e contesto (Romeo). Sarebbe a dire con quegli elementi che caratterizzano o dovrebbero caratterizzare meglio la trama, il valore, il senso della biografia di un individuo o di più individui e che consentono di “afferrare insieme”, come parti di una totalità significante, gli eventi di una o più vite (Gurevic). E il punto da sottolineare sta proprio qui.
Infatti, se vogliamo spiegarci perché la biografia ha rappresentato una lusinga e un’attrazione quasi fatale per la storiografia di tutte le epoche, svolgendo nella sua evoluzione una funzione non solo ancillare ma anche anticipatrice, dobbiamo anche ammettere che l’ “individuale”, il “qualitativo”, il “configurante, con la loro irripetibilità e anche imprevedibilità, non solo connotano la storicità ma trovano la piena concretizzazione proprio nella parabola di vita di una persona o di un gruppo di persone.
Il segreto della storia, secondo l’ultimo Lucien Febvre, è quello svelato dal bibliotecario persiano al vecchio scià agonizzante, cioè nel nascere, amare e morire degli uomini. Non è senza significato che da Aristotele e Tucidide a Taine, Bloch e Veyne, per citarne solo alcuni, la preda per eccellenza dello storico sia stata identificata nell’uomo, nella “carne umana”, nella “banalità quotidiana” del suo vissuto.
Tutto ciò non va inteso né in banali termini antropomorfici e proiettivi della storia, né nella considerazione esclusiva degli individui come strumenti più o meno consapevoli dello spirito, della provvidenza, del progresso o di qualunque altro “telos” e neppure come simboli o rappresentanti di realtà che li esprimono e li trascendono. Diversamente, va inteso in termini di analogia costitutiva -cioè in termini logicamente comparabili e fenomenologicamente simili- tra storia soggettiva e storia oggettiva, tra temporalità umana e storicità, tra “senso della vita e senso della storia”, per usare le parole di Rosario Romeo.
Il carattere “trascendentale”, nell’accezione kantiana, della logica storica, del giudizio storico che sono basati sull’”accadimento” e il “successo”, come ha affermato Galasso, si deve estendere a tutti giudizi e quindi alla logica non solo dell’intelletto ma della vita.
Un filosofo come Paul Ricoeur, che ha stabilito un profondo rapporto tra storia e racconto, tra linguaggio ordinario e linguaggio della storia, ha criticato proprio la “dimenticanza del tempo umano”, dovuta alla lunga durata che può fare da ostacolo “al tempo che noi siamo”. E questa dimenticanza, ritenuta disastrosa, può essere evitata solo salvaguardando l’analogia tra il tempo degli individui e il tempo delle civiltà: analogia di crescita e di declino, della creazione e della morte, analogia del destino.
Insomma si può dire che la biografia racchiuda davvero il segreto della storia, rappresentandone un geroglifico ricco di implicazioni e significati; e perciò Gaetano De Sanctis colse veramente nel segno, agli inizi del ‘900, rovesciando il famoso detto “Historia magistra vitae” in “Vita magistra Historiae”.