Storia e mito del West: Tex Willer
Il vecchio West, la “frontiera” americana, ha da sempre esercitato un fascino particolare. Una terra esotica dove vige la legge del più forte, abitata da nativi refrattari alla “civilizzazione” occidentale, ma dove –al tempo stesso- è possibile fare fortuna e dare libero corso al proprio talento. Come la fortuna europea del Wild West Show di Buffalo Bill testimoniò, la forza suggestiva del far West travalicò ben presto i confini della giovane nazione americana per diffondersi in tutto il resto del mondo. Si pensi, ad esempio, che tra le ultime apparizioni pubbliche di Toro Seduto, ormai ridotto a fenomeno da baraccone proprio nello show di Bill, si tennero addirittura nella Napoli del 1890 riscuotendo un grosso successo di pubblico (al punto che dalla zona dell’odierno Corso Meridionale il circo fu costretto a spostarsi a San Giovanni a Teduccio). Elemento importante della costruzione del mito americano, il far West ha poi, come è noto, ispirato un vero e proprio genere artistico (non solo cinematografico), il western appunto.
Fu proprio in uno dei ciclici periodi di rinascita di quest’ultimo che, nel 1948, vide la luce quello che sarebbe con gli anni divenuto il fumetto western italiano per antonomasia: Tex Willer.
A ben vedere, però, l’eroe ideato dalla fantasia di Gian Luigi Bonelli e dalla matita di Aurelio Galleppini, si presentava molto diverso dallo stereotipo hollywoodiano. Dal passato oscuro, non privo di guai con la giustizia, l’eroe bonelliano era infatti disposto a intervenire ogniqualvolta vi fossero diritti calpestati e deboli da difendere a prescindere dal colore della loro pelle e dalla loro condizione sociale. Non era un caso –allora come oggi- vedere Tex alle prese non soltanto con malfattori e tagliagole ma anche con i (pre)potenti di turno, politici corrotti, industriali senza scrupoli o “alti papaveri” dell’esercito pronti a fondare la loro carriera sul motto “il solo indiano buono è quello morto”. Nella saga, pertanto, l’“arrivano i nostri” è spesso annunciato non dallo squillo di tromba di uno squadrone di cavalleria ma dall’urlo di guerra di una scatenata banda di indiani.
Molto probabilmente, però, al fondo del successo della serie vi è la perfetta integrazione dei personaggi nel loro contesto storico e geografico.
Con Tex, infatti, divenuto uomo di legge, agente e capo indiano dei Navajos dopo aver sposato la figlia del loro ultimo capotribù, si partecipa alla guerra civile americana, alle guerre indiane, ai disordini interni del Messico di Benito Juarez e ci si muove negli spazi infiniti dell’America, dalle aride piste del deserto della Sonora alle immense foreste del Saskatchewan.
Certamente le forzature storiche sono frequenti ma permettono a Tex e i suoi compagni di conoscere e interagire con i più famosi e carismatici personaggi dell’epopea del West da Buffalo Bill a Geronimo, da Cochise al generale Custer. Ma le deviazioni dalla realtà storica non sono mai tali da rendere inverosimili le avventure del nostro Texas ranger e garantiscono una notevole ricchezza di spunti narrativi. D’altra parte, in ogni buon mito –e Tex è parte fondamentale del mito del West in Italia-, realtà e immaginazione da sempre si rincorrono a vicenda.
Dove però storia e mito si fondono forse alla perfezione è nel sorprendente intreccio tra la figura di Tex con quella storica del suo inseparabile compagno di avventure: Kit Carson. Il “vecchio cammello”, come scherzosamente apostrofato da Tex nelle sue avventure, è infatti un anziano ranger dalla mira ancora infallibile ma pessimista e brontolone che si integra perfettamente con la personalità ottimista e dinamica di Tex. Nella realtà storica, invece, fu proprio Kit Carson ad aver sposato per ben due volte una donna indiana e ad essere stato nominato agente governativo per le tribù degli Utes e degli Apache Jicarillas. Paradossalmente, proprio i Navajos, tribù di cui Tex è agente e capo, furono tra i più tenaci avversari di Carson che dopo la loro sottomissione ne guidò la deportazione dalle terre natie. Tutto ciò, come ho detto, non inficia però per nulla la godibilità della serie, illustrata tra l’altro dalle migliori firme del fumetto italiano e internazionale.
Se la storiografia americana più recente sta progressivamente smontando i vari stereotipi della “frontiera” americana, dimostrando magari che gli assalti alle diligenze e i duelli sulla main street non erano tutto sommato così frequenti, ci penseranno Tex Willer e i suoi “pards” a mantenere intatto -a colpi di colt- il mito del vecchio West.
Emilio Gin
Dipartimento di Scienze Umane, Filosofiche e della Formazione (DISUFF)
Università degli Studi di Salerno