Storiografia e storici europei del Novecento
AURELIO MUSI
Giuseppe Galasso è un’eccellenza napoletana. L’espressione è oggi assai abusata e spesso appare un’iperbole. Ma in questo caso non lo è affatto perché rappresenta assai bene due significati precisi a cui l’espressione allude sia nel sostantivo che nell’aggettivo: la tradizione culturale napoletana di alto profilo di cui Galasso è erede e dalla quale trae continua ispirazione; la capacità di rinnovarla e di immetterla in un circuito internazionale.
Pertanto il titolo dell’ultimo libro di Galasso, Storiografia e storici europei del Novecento (Salerno editrice), è limitativo. Perché in esso l’autore non solo traccia un mirabile quadro di temi e problemi della storiografia del Novecento, non solo discute opere e profili di grandi storici come Hazard, Palmer, Hobsbawm, Namier, Furet, Mosse, Nolte, Le Goff, White, Maravall, Braudel, ma dialoga anche con filosofi come Heidegger, Popper, Arendt, Berlin, antropologi come Vernant, letterati come Fumaroli, giuristi come Kelsen. E sarebbe riduttivo definire inter- o multidisciplinare lo sguardo dell’autore, che mostra invece una capacità teoretica a tutto campo, adotta una logica argomentativa stringente per discutere tesi, articolare rilievi critici su singoli passaggi degli autori considerati, guidare il lettore nei meandri complessi del loro ragionamento.
E’ il metodo, dunque, più che il merito e il contenuto ampio, ricco e articolato, che in queste brevi note si vuol richiamare per sottolineare la singolarità di uno storico che si conferma come un’eccellenza non solo per la sua eccezionalmente ampia produzione scientifica, ma anche e soprattutto per la sua capacità di lettore e interprete di testi ed autori apparentemente distanti dai suoi interessi immediatamente disciplinari. All’eccellenza si accompagna dunque una curiosità conoscitiva onnivora che sorprende solo chi non ha familiarità con la personalità di Galasso.
E la curiosità, accompagnata ad una solida conoscenza dei testi analizzati, spinge Galasso a scoprire aspetti originali di intellettuali quasi sempre inquadrati da una vulgata interpretativa in un omogeneo schema. Si prenda il caso di Karl Popper. Del filosofo neopositivista si mette in evidenza il rapporto stretto fra falsificabilità e storicità. Scrive Popper: “La scoperta di un problema filosofico può essere qualcosa di definitivo. E’ la soluzione del problema a non essere mai definitiva, poiché non può essere fondata né su prove, né su ripulse definitive: il che è una conseguenza dell’irrefutabilità delle teorie filosofiche”.
Un filo rosso attraversa le molte pagine di quest’opera: è il coerente sistema di valori a cui si ispira Galasso. Sono precisamente quelli del 1789, libertà, eguaglianza. Di qui la predilezione di Galasso per i modelli di interpretazione liberaldemocratica. Di qui la critica serrata a Francois Furet, al passato e alla “illusione” dell’idea comunista. Di qui l’appassionata difesa della “religione della libertà” contro ogni fondamentalismo, il riferimento al “tradimento dei chierici” (il famoso titolo dell’opera di Julien Benda), di quegli intellettuali, cioè che hanno sostenuto non solo nazismo e fascismo, ma anche comunismo e “socialismo reale”.
Un altro filo rosso è rappresentato dalla critica alla riduzione narratologica e letteraria della storia.
Il rinnovamento di metodi, tecniche di lavoro,tematiche e criteri di giudizio, che ha caratterizzato la storiografia degli ultimi decenni, è osservato da Galasso nel contesto di una difficile crisi di identità della storiografia, che è spia di una più generale crisi culturale del mondo contemporaneo.