C’è anche una Santa Rosalia pop: luci ed ombre della Street art palermitana
Tra le case diroccate del secondo dopo guerra, il centro storico della città offre un tour d’arte urbana contemporanea tutto da scoprire
Dalla Kalsa a Ballarò, da Borgo Vecchio alla Vucciria: la Street art a Palermo è un museo a cielo aperto e ad ingresso gratuito.
Il risveglio culturale, dopo “Palermo capitale della cultura 2018”, passa anche dalla pittura di strada come massima espressione d’arte urbana contemporanea fruibile da tutti. A discapito di un sentire comune, che negli anni troppo spesso ha associato la Street art a mero atto di vandalismo e trasgressione, è arrivato il momento di rendere giustizia alla pittura dei murales. Che, nelle zone popolari di Palermo, ha come missione la riqualificazione del territorio e la voglia di riscatto sociale degli stessi abitanti del quartiere.
È necessario infatti distinguere chi si occupa di graffiti, i cosiddetti writer, e chi fa Street art dedicandosi alla pittura sui muri senza l’utilizzo della scrittura. I primi agiscono di notte, appartengono a delle crew (gruppi) e prediligono aree urbane come le stazioni e i vagoni dei treni. Per loro è un vanto fare un pezzo di nascosto – usando il loro gergo – e più tempo resiste, maggiore sarà l’orgoglio all’interno del gruppo. Gli street artist, invece, sono pittori che lavorano su commissione o seguendo la propria vocazione in piena libertà in luoghi dove sanno che possono farlo, senza deturpare l’ambiente circostante.
Un codice etico degli artisti esiste e quello del “crossare” (dipingere sopra) un disegno è una questione delicata.
«Ci sono delle regole da rispettare – afferma Igor Scalisi Palminteri – se c’è un pezzo tu non ci dipingi sopra, se lo fai è perché è passato tanto tempo e quel muro è logoro. Se non è passato questo tempo, è un affronto. Ad esempio si potrebbe crossare il murale di papa Sergio alla Magione che è uno dei primi in città, però non lo farei proprio per questo. Anzi, forse lo restaurerei».
A non fare i conti con le possibili conseguenze è stato invece Salvatore Benintende, in arte Tvboy, che con il poster di Giovanni Falcone su una superficie murata della chiesa cinquecentesca di Santa Maria dei miracoli, a piazza Marina, ha attirato le critiche di diverse associazioni del territorio.
«La strada è il mio museo – afferma l’artista, che a lavoro finito inserisce sempre l’etichetta con titolo dell’opera, anno e codice QR che rimanda al suo sito internet – Il potente messaggio di legalità che simboleggia la mia opera artistica legata a Giovanni Falcone non può infrangersi contro “muri” di presunta illegalità, adombrata nell’esposto ricevuto […],per deturpamento e imbrattamento di cose altrui» commenta sulla sua pagina facebook.
Di retroscena da raccontare sulle opere d’arte urbana ce ne sono tanti e a farlo è la guida turistica Enrica Bruno di Alternative tour. Quello che propone è uno Street art tour, un viaggio alla scoperta della storia dei murales, dai più grandi ai più piccoli, nascosti negli angoli più insoliti di Palermo, tre le saracinesche di un pub e una bancarella ambulante.
L’arte urbana è anche messaggio sociale ed educativo: il murales di Falcone e Borsellino, realizzato alla Cala, ne è l’esempio per antonomasia. Impossibile non ammirarlo. Fu realizzato nel 2018, quando un bambino dello Zen decapitò una statua del giudice Falcone. Un gesto che non poteva passare inosservato. L’Associazione nazionale magistrati e la città di Palermo hanno risposto con la Street art sulla facciata di una scuola. Frutto del talento di due artisti siciliani, in arte Rosk&Loste, il murales è la riproduzione realistica della storica foto scattata da Tony Gentile in un momento di gioviale complicità dei magistrati.
Se le luci dei murales sono visibili ad occhio nudo dagli spettatori, le ombre dei problemi legati alla loro realizzazione e manutenzione sono evidenti solo agli addetti ai lavori, gli artisti.
L’ultima parola spetta proprio a loro e il pensiero di Igor Scalisi Palminteri è chiaro: «Nutro un po’ di amarezza nei confronti delle istituzioni di questa città perché dopo il successo avuto con la prima edizione del progetto Cartoline da Ballarò. Abbiamo portato energie positive nel quartiere, mi aspettavo che il Comune venisse da noi per chiederci di ripeterlo ancora, in un altro posto. Non è stato così. Dopo avere bussato tante volte alla porta dell’assessorato alla cultura, non ho avuto mai risposte, solo rinvii – continua – ho ancora fiducia ma sono passati mesi e ci sono solo parole».
La sensazione di indifferenza rispetto al tema della Street art palermitana risale al tentativo fallito, come considerato da Scalisi, di voler regolamentare l’arte della pittura di strada attorno ad un tavolo tecnico in cui erano assenti quelli che sarebbero stati i principali interlocutori, cioè la sovraintendenza e l’assessorato alla cultura. «Il Comune è in genere disponibile a dare un muro quando è di sua competenza. Il problema è quando c’è di mezzo la sovraintendenza che non dialoga con gli artisti. Non c’è un elasticità » osserva.
I lavori di Scalisi Palminteri e dei colleghi Andrea Buglisi, Alessandro Bazan, Fulvio Di Piazza e CRAZYoNE a Ballarò sono stati infatti frutto dell’investimento economico dell’imprenditore Francesco Galvagno e riprodotti nel docufilm “Prospettiva Ballarò” di Salvo Cuccia e Antonio Bellia del 2018.
Quella della pittura di strada è un’arte giovane a Palermo, che necessità per questo di un confronto reale con chi dipinge. Ma a mancare, secondo Igor, è una visione progettuale d’insieme che metta in rete le associazioni, gli artisti e le istituzioni e che si trasformi in una mappatura del territorio sui luoghi in cui è possibile fare arte: «Dovremmo immaginare la street art come una pietra miliare insieme alle altre cose che creano bellezza in un luogo».
L’artista palermitano della Zisa ha imparato negli anni infatti quanto sia prezioso il contatto con la strada, con la gente del posto ma soprattutto con i bambini, fonte di ispirazione in tutti i suoi colpi d’arte. È l’autore, tra gli altri, degli enormi murales di Santa Rosalia, di San Benedetto il Moro all’Albergheria e di Sant’Erasmo al Foro Italico. I suoi non sono dipinti religiosi, spiega Scalisi, che vuole trasmettere invece un messaggio politico con la sua arte. Lui, pittore da cavalletto, esplora il mondo della Street art solo da qualche anno. Ma in San Benedetto il Moro, il ragazzo nato in Sicilia da genitori schiavi eritrei nel ‘500, ha avuto una visione ante litteram. «Non potrebbe essere uno di quei giovani che vengono da un’altra parte del mondo a Palermo? Allora voglio dire: come si fa a stabilire dalla nazionalità, dal luogo di provenienza, dalla religione, dal colore della pelle dove si può vivere. Come si fa a dire che in quel luogo lì, a Palermo, se vieni dall’Africa non hai gli stessi diritti di chi è nato qui».
La visione di Scalisi è quindi di partecipazione attiva «Un museo a cielo aperto all’Albergheria potrebbe essere un indotto per quel posto e le persone del quartiere potrebbero essere le guide del quartiere che spiegano come tra la cupola del carmine e la chiesa di san Saverio possa svelarsi il muro di un artista contemporaneo».