Tommaso Buscetta: un collaboratore tra luci ed ombre – Capitolo 3
Capitolo Terzo. «Buscetta e il caso Andreotti»
Buscetta fu anche uno dei collaboratori che accusarono Andreotti di collusione con la mafia. Nel 1984, nel corso della sua collaborazione, parlò di una “entità” senza tuttavia svelarne il nome. Soltanto dopo la strage di Capaci rivelò che l’entità, il cui nome non aveva rivelato a Giovanni Falcone, si identificava in Andreotti.
Peraltro, già nel 1985, Buscetta aveva fatto riferimento ad Andreotti al viceprocuratore distrettuale di New York, Richard Martin. Successivamente altri collaboratori parlarono di incontri di Andreotti con Bontate e Riina, incontri dei quali erano stati testimoni diretti. Intervistato in una località segreta degli States, dove viveva, dopo la sentenza di primo grado che aveva assolto Andreotti, alla domanda dell’intervistatore che gli chiedeva se le accuse contro Andreotti erano un teorema, Buscetta rispondeva: “Non è così.
La gente ha la memoria corta. Il “teorema” era quello del maxi processo. E ci si riferiva al fatto che la commissione di Cosa Nostra era responsabile di tutti i delitti commessi dagli uomini d’onore. Le dichiarazioni su Andreotti sono semplicemente il racconto di fatti che altri mi avevano riferito e che io, a mia volta, ho raccontato ai giudici”.
Dichiarava, inoltre, che quando aveva detto a Falcone che non intendeva parlare di politica lo aveva fatto a ragion veduta, “poi per rispettare la morte di un servitore dello Stato ho commesso un errore, il più grave errore della mia vita… aver parlato dei rapporti della mafia con la politica. Prima sapevo che dovevo tacere, perché lo Stato non era pronto.
Politica e Mafia, le confessioni che infangano il nome di Andreotti
Nel 92 mi sono illuso. E ho sbagliato. Se fossi stato zitto tutto sarebbe filato liscio”. Ribadiva che si era trattato di un errore che non avrebbe rifatto, “me ne starei in silenzio. Ho fatto 15 nomi di uomini politici, ma quello che ha fatto maggior rumore è stato quello di Andreotti. E così, con le mie mani, mi sono fottuto, perché da quel preciso momento la denigrazione nei miei confronti è stata continua. Se rinascessi a nuova vita, con la politica non mi immischierei più!”.
Come è noto la Corte di appello di Palermo ha assolto Andreotti per non aver commesso il reato di associazione mafiosa a partire dal 1982, ma ha invece dichiarato prescritto il reato di associazione per delinquere semplice riconoscendo comunque che lo stesso, anteriormente al 1982, aveva avuto rapporti con esponenti mafiosi e ritenendo provati gli incontri diretti tra lo stesso Bontate e Andreotti in persona. La sentenza venne confermata dalla Corte di cassazione.
L’omicidio Pecorelli nela marzo del 1979 e le dichiarazioni di Buscetta
Fu poi a seguito delle dichiarazioni di Buscetta che, nel 1993, Giulio Andreotti venne coinvolto nell’omicidio del giornalista Mino Pecorelli avvenuto nel marzo del 1979. Ebbe allora a dichiarare che l’omicidio era stato chiesto dai cugini Salvo ribadendo al processo che ciò era avvenuto “nell’interesse di Andreotti”. Questo aveva appreso in America da Gaetano Badalamenti, il quale, al contrario, non ha mai confermato questa circostanza. Il processo, iniziato nel 1996, si concluse il 24 settembre 1999 con la sentenza di assoluzione. In secondo grado Andreotti venne condannato, insieme al boss mafioso Gaetano Badalamenti a 24 anni di reclusione, entrambi ritenuti i mandanti dell’omicidio. La Cassazione annullò senza rinvio la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Appello di Perugia, sancendo in via definitiva l’innocenza di Andreotti.
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