Tommaso Buscetta: un collaboratore tra luci ed ombre – Capitolo 2
La redazione de “L’Identità di Clio” da oggi e per i prossimi giovedì, pubblica il secondo di cinque capitoli dedicati alla ricostruzione della delicata vicenda biografica di Tommaso Buscetta. Lo facciamo attraverso l’autorevole penna di Alberto Di Pisa, già componente del pool antimafia presso la Procura della Repubblica di Palermo, la cui esperienza sul campo ci offre una preziosa ed affascinante testimonianza attraverso un particolare punto di vista. Invitiamo i nostri affezionati lettori a non perdersi nessun capitolo della autorevole ricostruzione dell’attuale Commissario Straordinario del libero consorzio comunale di Agrigento.(ndr)
Capitolo 2. L’evasione dal carcere
Una completa conoscenza della personalità di Buscetta non può prescindere dai suoi gravi trascorsi criminali.
Buscetta, le cui attività illegali iniziarono fin dall’adolescenza, nel 1945 venne affiliato alla cosca mafiosa di Porta Nuova. Nel 1956, tornato a Palermo dal Brasile, si associò ai mafiosi Angelo la Barbera e Salvatore Greco e altri mafiosi tra cui l’allora capo della mafia Gaetano Badalamenti dedicandosi al contrabbando di sigarette e al traffico di stupefacenti.
Nel 1958 venne arrestato per associazione a delinquere siccome inserito in una associazione facente capo a grossi fornitori di stupefacenti. Nel 1968 venne condannato in contumacia a dieci anni di carcere per associazione a delinquere e venne assolto per insufficienza di prove per la strage di Ciaculli della quale era stato sospettato. Nel 1972 venne arrestato dalla polizia brasiliana ed estradato in Italia, dove, rinchiuso all’Ucciardone, venne condannato alla pena di dieci anni di reclusione per traffico di stupefacenti.
Nella perquisizione effettuata in un deposito blindato di sua pertinenza, la polizia brasiliana rinvenne eroina pura per un valore di 25 miliardi di lire dell’epoca. Nel 1980 riuscì ad evadere dal carcere delle Nuove, approfittando della concessione della semilibertà, trovando quindi rifugio nella villa dell’esattore Nino Salvo, sotto la protezione di Stefano Bontate e Salvatore Inzerillo. Si era in piena guerra di mafia e questi ultimi volevano convincerlo a schierarsi dalla loro parte per uccidere Totò Riina.
In Brasile, la polizia di Rio de Janeiro lo indicò come uno dei capi della nuova mafia dove, secondo fonti di informazione, avrebbe assunto la guida di una organizzazione di trafficanti di stupefacenti. La polizia brasiliana sospettò che avesse partecipato a due omicidi avvenuti nello Stato di Rio de Janeiro, omicidi legati al mondo del traffico di stupefacenti.
Nel luglio del 1982 infatti, in un appartamento di Capocabana, venne ucciso Remè Salinas, boliviano, accusato di avere tradito i compagni in un grosso affare di cocaina. Il 2 agosto poi, nella località di Resende, durante un festa in un appartamento fu uccisa Marina Marques de Alvarenga, di 14 anni, probabilmente per avere rifiutato di iniettarsi stupefacenti. In entrambi i casi diversi testimoni avrebbero riconosciuto Tommaso Buscetta tra gli assassini.
Tommaso Buscetta morì il 2 aprile del 2000 nello Stato di New York, per un tumore, all’età di 72 anni. Molte e diverse furono le reazioni che la sua scomparsa provocò. Giancarlo Caselli così commentò la sua morte: “Un uomo leale e coraggioso, perché prima di parlare di politica era solo Buscetta, dopo è diventato un problema per tante persone”.
Bartolomeo Sorge, già direttore di “Civiltà Cattolica, impegnato sul fronte della lotta alla mafia disse: “Negli ultimi anni della sua vita ci sono ombre che rendono meno limpida la sua collaborazione con la giustizia, la fanno apparire meno sincera”. Giulio Andreotti interpellato dai giornalisti scrisse in un appunto: “Prego per la sua anima.
La malattia lo aveva da qualche tempo tolto di scena e io dichiarai pubblicamente che ero lieto che lo Stato lo avesse aiutato a sperimentare tutte le cure possibili”. (Buscetta aveva tentato anche la cura Di Bella, ndr). Espressione di un vero e proprio coinvolgimento affettivo la dichiarazione di Enzo Biagi che nel 1988 lo aveva intervistato: “Sembra strano, ma ho perso un amico. Probabilmente non mi ha detto tutto, ma sono sicuro che non mi ha mai mentito. Adesso gli sia concessa pace”.
Non certo positivo il commento del Presidente della Commissione parlamentare antimafia Ottaviano Del Turco il quale, appresa la notizia della morte dichiarò che Buscetta “è stato un pentito a rate, prima importante e poi sempre meno credibile”. Ed ancora: “Il valore della collaborazione di Buscetta, un mafioso che ha spacciato droga e ammazzato, rimane limitata al fatto che contribuì alla scoperta dell’assetto militare della mafia.
Ma poi, da quando decise, anni dopo, di iniziare la seconda rata della collaborazione, ha avuto difficoltà ad essere credibile”. Sul fronte politico, un deputato di alleanza nazionale dichiarò: “Buscetta è stato un pericoloso mafioso. I toni di alcune interviste del dr. Lo Forte e del dr. Caselli sono veramente inauditi, così come sono stati vergognosi quelli di alcuni giornalisti”. Durissima la testimonianza di Bruno Contrada. “A Buscetta non è mai piaciuto sparare. Strangolava le sue vittime”.
Di segno opposto le dichiarazioni del generale dei carabinieri Tito Baldi Honorati che all’epoca della collaborazione comandava il Nucleo Investigativo di Palermo: “Noi eravamo arrivati a scoprire quello che poi Buscetta ci rivelò ma non avevamo le prove e Buscetta ci consentì di mettere la mafia con le spalle al muro”
Certo non può non tenersi conto per quanto riguarda le “ verità” di Buscetta circa la collusione di politici con la mafia, che i processi che hanno visto imputato Andreotti, anche in conseguenza delle sue propalazioni, si sono conclusi con assoluzioni. Di contro il magistrato della Procura che sostenne l’accusa nel processo contro il senatore a vita, Guido Lo Forte sostenne che l’attendibilità del collaboratore non è mai stata messa in discussione.
In definitiva, pur dovendosi riconoscere che le dichiarazioni di Buscetta, sia pure con luci ed ombre, consentirono di svelare per la prima volta i meccanismi dell’organizzazione mafiosa e della sua struttura, credo che la figura di questo collaboratore di giustizia non vada né mitizzata né demonizzata.
Ci si trovò semplicemente e banalmente in presenza di un criminale mafioso che, isolato all’interno di Cosa Nostra e braccato dagli avversari che gli avevano ucciso numerosi congiunti, si determinò a collaborare per salvare la propria vita rivolgendosi alla giustizia dello Stato per consumare la sua vendetta. Niente di più.
Non bisogna poi dimenticare che prima di lui, altro mafioso di rango, Giuseppe Di Cristina, capo della “famiglia” di Riesi poi ucciso, aveva riferito della esistenza di una organizzazione mafiosa unitaria, estremamente violenta e pericolosa dedita a tutta una serie di attività illecite, preconizzando quello che poi si verificò e cioè lo scontro tra quella che potremmo definire l’ala moderata della organizzazione mafiosa e quella più violenta e sanguinaria costituita dai corleonesi di Totò Riina.
Leggi anche: Capitolo 1 – Capitolo 3 – Capitolo 4 – Capitolo 5