Campanella in rivolta. Il filosofo della Calabria ribelle nel nuovo libro di Giovanni Brancaccio
Intellettuale a dimensione europea, militante, calabrese: in questo trinomio può essere ben riassunta la straordinaria biografia di Tommaso Campanella. E il trinomio può ben essere la trama del volume di Giovanni Brancaccio, Calabria ribelle. Tommaso Campanella e la rivolta politica del 1599, che inaugura la nuova collana “Biblioteca di Storia” dell’editore milanese Franco Angeli.
Campanella fu uno dei più importanti intellettuali italiani tra Cinque e Seicento. Fu filosofo, poeta, analista politico acuto e raffinato, studioso di medicina, scrittore poligrafo capace di affrontare con rigore aspetti diversi della cultura del tempo. Fu anche un intellettuale militante, combattente, ma isolato nel contesto in cui visse: per questo Francesco De Sanctis lo definì, nella sua Storia della letteratura italiana, un “eroe solitario”, incompreso nel tempo-spazio in cui visse, e lo contrappose al più popolare Oliver Cromwell, leader della rivoluzione inglese. Di origine calabrese, precisamente nativo di Stilo, Campanella dedicò le sue energie intellettuali e politiche alla rivolta del 1599.
L’opera di Brancaccio fonde i tre aspetti della personalità di Campanella qui identificati e rilegge l’intera sua opera in funzione della rivolta, sintesi del pensiero e dell’azione del filosofo. Si trattò di una vera insurrezione antispagnola, non solo di una congiura. Fu il frutto di un ben strutturato progetto. Fu il combinato disposto di ideologia, strategia di alleanze, partecipazione sociale. È questa, in sostanza, la tesi, ben motivata, dell’autore.
L’ideologia, che elaborò Campanella e costituì la bandiera, per così dire, del moto calabrese del 1599, fu una miscela di motivi astrologici e profetici, di antifiscalismo, antifeudalesimo e antispagnolismo, al fine di produrre una “mutazione di Stato” secondo l’espressione usata nel tempo o, meglio, secondo le parole del leader, una “repubblica comunista e teocratica”.
Il filosofo di Stilo pensò anche alle alleanze. Si rivolse non solo ai francesi, nemici degli spagnoli, ma anche a settori della Chiesa e delle sue gerarchie, persino ai turchi. Quanto alla partecipazione al moto, il leader seppe utilizzare il malcontento e i disagi di ceti e gruppi diversi, provocati dall’incipiente crisi economico-sociale che coinvolse l’intero Mezzogiorno e in particolare le province di Calabria Citra e Ultra, dalla pressione e gli abusi giurisdizionali del baronaggio, dall’aumento della tassazione statale che si abbatté sui sudditi del viceregno spagnolo. Parteciparono al moto calabrese segmenti della nobiltà e della borghesia professionale (medici e avvocati in particolare), predicatori e religiosi che si riconobbero nel profetismo, nello spirito apocalittico campanelliano e furono capaci di trasmetterlo ad ampi strati della società, soprattutto ai contadini.
La rivolta fallì per il concorso di più motivi: delazioni e tradimenti, l’attività di infiltrati, la pronta repressione, il venir meno dei presunti alleati.
Mediante una minuziosa cronaca degli eventi del moto, del processo politico, di quello religioso e della lunga detenzione inflitta a Campanella, il libro mostra come la rivolta del 1599 in Calabria fosse espressione di una ramificata sollevazione antispagnola e antifeudale, dotata di un suo concreto fondamento che non la confinava in un ambito puramente profetico: anche se le accese prediche del monaco sulla “fine del mondo e la renovatione del secolo”, sulle aspettative apocalittiche e millenaristiche ebbero un ruolo non secondario e fecero presa sulle popolazioni calabresi. La portata politica e sociale della rivolta è rimasta a lungo inesplorata proprio perché essa fu stroncata sul nascere. Ma preannunciò i giorni di Masaniello.
Quanto all’opera multiforme del Campanella, Brancaccio dimostra come essa fosse anche il frutto di una relazione intensa con la cultura europea, dimostrata peraltro dalla fitta corrispondenza che il filosofo intrattenne con i principali intellettuali del tempo.
Insomma “eroe solitario” sì, ma capace, insieme con altri “eroi solitari” come Barnardino Telesio e Giordano Bruno, di trasmettere, più ai posteri forse e meno ai contemporanei, la vitalità del pensiero e dell’azione del Mezzogiorno d’Italia nella storia europea.