Tra anacronismo e attualità: don Milani e la scuola italiana – parte 1
La personalità e l’opera di don Lorenzo Milani
La personalità e l’opera di don Lorenzo Milani rimangono una delle più complesse da sottoporre a giudizio storico, nonostante una mole di pubblicazioni a lui dedicate decisamente rilevante. La sua azione carismatica, ma anche una sorta di mitizzazione della sua figura e della sua azione, ha fatto sì che mancasse quasi sempre, nelle diverse pubblicazioni che si sono poste l’obiettivo di ripercorrerne il cammino biografico, intellettuale e pratico, un giusta distanza rispetto a un eventuale coinvolgimento personale del ricercatore. Più di una volta, spesso e soprattutto anche nel campo dell’intellettualità progressista, qualsiasi giudizio è stato caricato di una valenza che comportava immediatamente una presa di posizione polemica verso il presente; ovvero, la problematizzazione dell’opera di don Milani rispetto a uno scenario sociale e intellettuale, come quello contemporaneo, profondamente mutato, tende a spingere il confronto critico sul piano della contrapposizione, il che non favorisce certo uno sguardo storico capace di un giudizio sereno e il più possibile obiettivo.
Un anti-Gramsci nella scuola
Conviene partire da un esempio relativamente recente, per focalizzare il tema. Nel 2018 viene pubblicato da parte di una coppia d’autori, Giuseppe Benedetti e Donatella Coccoli, uno studio che intende proporsi come sistematica e complessiva ricerca sulle riflessioni di Antonio Gramsci dedicate alla scuola1. All’interno di questo studio compare un capitolo, verso la conclusione, intitolato “Un anti-Gramsci nella scuola”, dedicato proprio a don Milani e al suo testo più celebre, Lettera a una professoressa. L’intenzione del capitolo è quella di mostrare il rapporto di assoluta alterità tra le riflessioni gramsciane sulla scuola e il modo in cui invece don Milani intende il rapporto tra il processo d’istruzione e l’emancipazione e il riscatto delle classi subalterne. Nella Prefazione al volume, dovuta alla penna di Marco Revelli, il giudizio espresso sullo studio nel suo complesso appare estremamente positivo. Addirittura, all’inizio, se ne fa riferimento come a «un libro necessario»2.
Improvvisamente, però, verso la conclusione di queste pagine introduttive, si legge il seguente giudizio: «Con l’unica eccezione del nono capitolo -che considero, a esser sincero, inessenziale e in qualche misura ingiusto verso una figura che ha rappresentato molto per la mia generazione e la nostra rivolta giovanile-, credo che questo libro sia un prezioso strumento per chi non si rassegni al dispotismo del presente, e può trovare qui una miniera di concetti, stimoli, categorie e strumenti di ricostruzione di un senso apparentemente perduto»3. Si può certo, con ragione, esprimere consenso o dissenso verso un giudizio così severo; su un punto però riteniamo che la presa di posizione di Revelli incorra in un errore, e questo al di là dei legittimi punti di vista. Ovvero quando giudica quel capitolo come «inessenziale» rispetto all’intera economia del volume. Senza questa riflessione, infatti, il testo avrebbe mancato proprio la capacità di investire il presente, in particolare il dibattito, per certi versi drammatico, in corso sul destino della scuola italiana, la cui organizzazione e i cui contenuti stanno subendo una eccezionale torsione in senso conservatore. Mettere in evidenza un contrasto tutt’altro che di poco conto tra due figure che giocano un ruolo così importante nel campo progressista, e che presentano sulla scuola punti di vista antitetici su alcune questioni essenziali, risulta decisivo per comprendere il senso che gli autori hanno voluto attribuire alla loro fatica, intervenendo su un dibattito in corso sulla scuola, che proprio in quella fase stava conoscendo una vivace dialettica4. Se non ci fosse stato quel capitolo, sarebbe venuto meno proprio quello stimolo a «non rassegnarsi al dispotismo del presente», che pure Revelli richiamava. Se esiste, a livello di giudizio complessivo, un contrasto palese tra queste due significative personalità, è giusto metterlo in evidenza in primo luogo sul piano della ricostruzione storica, così da fare chiarezza sui corretti riferimenti che, nei confronti de due, vengono proposti in merito al dibattito sulla scuola. Tanto più che Revelli fa cenno a una particolare damnatio memoriae cui sarebbe sottoposto Gramsci, «realizzata anche fingendo di celebrarlo ma in realtà distorcendone il pensiero»5. Destino in parte toccato anche a don Milani se è vero, come avremo modo di notare, che il richiamarsi al suo insegnamento serve a volte a legittimare ipotesi di trasformazione della scuola tra loro antitetiche. Peraltro, pare esserci un altro vulnus nel ragionamento di Revelli; la motivazione per cui lo studioso respinge il contenuto del capitolo è quella di «ingenerosità», vista l’importanza che tale figura ha rivestito per rafforzare gli ideali di emancipazione di un’intera generazione. Ora una tale giustificazione, affidata a una motivazione affettiva piuttosto che a un sereno giudizio storico, ci sembra sia proprio l’atteggiamento prevalente nelle opere che vogliono indagare la figura di don Milani. Con la differenza che, in molte di esse, questa sottovalutazione del rigore storico dovuta a un’immediata adesione affettiva al personaggio, avviene spesso con finalità strumentali, legate all’attualità della politica scolastica.
Se proprio è possibile individuare un limite nell’impostazione al capitolo da parte di Benedetti e Coccoli, questo sta -ed è anch’esso atteggiamento in parte unilaterale sul piano dell’analisi storica- nel giustificare la radicalità di Milani da un punto di vista puramente morale, cioè come riscatto rispetto alla propria provenienza sociale6. Se è vero che don Milani rappresenta un esempio straordinario di «coscienza infelice», pure ridurre a ciò le sue motivazioni rappresenta una scorciatoia ermeneutica, che si presta a facili contestazioni.
La battaglia contro la selezione classista nella scuola
Conviene partire da quello che è forse il contenuto politico più significativo e sicuramente condivisibile riferito alle prese di posizione di don Milani. Che sarebbe limitativo ridurre ad una semplice protesta per l’espulsione dei meno favoriti dal percorso scolastico all’interno di una scuola, quella repubblicana, che pure si voleva fondata su valori costituzionali totalmente opposti. Don Milani è più analitico, e afferma che il sistema della bocciatura in sé produce questa emarginazione, e di fatto impedisce qualsiasi emancipazione a chi non ha le qualità di partenza per potersi dedicare in modo convinto allo studio. Don Milani non punta però semplicemente a una sorta di lassismo, per cui si procede nell’iter scolastico indipendentemente da quanto si è effettivamente appreso, ma pone in evidenza -e giustamente denuncia- la mancanza di qualsiasi strategia di recupero. Che non può essere addossata sull’alunno in difficoltà, che individualmente sarebbe incapace -anche per la collocazione sociale del proprio nucleo familiare- a provvedere da sé a colmare le lacune; ma che deve essere presa in carico dalla scuola stessa, in virtù proprio dei valori costituzionale che è suo compito attuare. Proprio perché la scuola è un luogo in cui avviene un processo di formazione, a questa istituzione spetta il compito di rendere effettivi in particolare gli articoli programmatici della Costituzione, di avviare la società del futuro verso la realizzazione di quegli obiettivi che la Repubblica ha il dovere di rendere effettivi.7
A nostro parere, l’attualità di questa denuncia di don Milani è indubbia: sarebbe compito delle istituzioni scolastiche, oggi come allora, organizzare un tempo scuola, ampio, in cui è previsto anche un lavoro in cui sia possibile affrontare le singole situazioni di disagio e di difficoltà di comprensione, attraverso un lavoro sempre imperniato sulla figura docente (magari alternativa a quello curricolare), e con diverse forme di sperimentazione metodologica, il cui fine è proprio quello di mettere in condizione l’alunno di affrontare con meno ansia e maggiore partecipazione il lavoro scolastico. Che non deve essere avvertito come il dover affrontare un ostacolo, rispetto al quale si interiorizza -in mancanza di un sostegno adeguato- esclusivamente la propria impotenza. È un fatto incontestabile che molti docenti ancora oggi non sanno affrontare il tema della progressività della conoscenza dei loro alunni più in difficoltà se non attraverso un atteggiamento, pressoché esclusivo, di carattere premiale-sanzionatorio8; e inevitabilmente, laddove c’è selezione, i più colpiti sono gli studenti provenienti da situazioni economico-sociali svantaggiate, fosse solo perché non possono avvalersi di quegli istituti privati, noti come “promuovifici”, che finiscono per assicurare il diploma di uscita.
Una difficile attualizzazione
Il proiettare tale legittima rivendicazione sull’attuale processo di riforma della scuola obbliga però a confrontarsi con una serie di problemi metodologici: valutare innanzitutto se l’impostazione didattica difesa allora da don Milani avrebbe senso oggi, oppure perso o mutato di valore alla luce dei decisi cambiamenti che hanno investito le relazioni sociali e le istituzioni formative.
Se prendiamo a riferimento lo studio che in anni recenti alcuni hanno voluto interpretare come innovativo su questo tema, ovvero quello pubblicato da Vanessa Roghi9, ci sembra che tale obiettivo in buona parte fallisca, e che le considerazioni siano guidate quasi esclusivamente da una pregiudiziale presa di posizione etico-politica (la stessa che in un certo senso abbiamo già rilevato nel giudizio di Revelli); non a caso in questo studio non vengono presi in esame alcuni elementi determinanti per poter effettuare una seria analisi storica comparata e affermare con convinzione la tesi iniziale, ovvero la necessità di riproporre ai nostri tempi l’approccio all’istruzione don milianiano e il carattere “sovversivo” dei suoi metodi.
La proiezione sull’oggi è immediatamente affermata nell’Introduzione: «A don Milani dobbiamo molto, moltissimo, negli anni della polemica sulla “buona scuola”, del ritorno alla bocciatura, della farsa dei crediti formativi, della selezione che non è più di classe ma è altrettanto spietata tra vincenti e perdenti […]»10. Come si nota, un mettere insieme diverse questioni, alcune delle quali inesistenti (come «il ritorno della bocciatura» non si capisce rispetto a quale precedente), altre, come la selezione, che non c’entrano nulla con la questione del «crediti formativi», giustamente definiti «farsa». La corretta presa di posizione contro la selezione11 viene poi confrontata con tutta una serie di dati che intendono mettere in evidenza, oggi come allora, il carattere non inclusivo della scuola, in contraddizione con quanto esplicitamente affermato nel testo costituzionale; senza però domandarsi se questa situazione possa avere le medesime cause di allora. Lacuna non da poco, poiché proprio i sostenitori dell’attuale progetto di ristrutturazione della scuola, in primis il ministro Bianchi, fanno riferimento a dati simili.12 Per un’azione politica però che, è stata denunciata in più occasioni, appare decisamente allineata alle logiche del pensiero neoliberista13, poco sensibile dunque all’emancipazione delle classi meno favorite14.
Il proposito di eliminare le bocciature e la selezione prevede due strategie molto diverse
In effetti, il proposito di eliminare le bocciature e la selezione può prevedere due strategie molto diverse fra loro, di cui non sempre si dà conto: una di tipo emancipativo, che parte dalla constatazione -anche di don Milani- che la selezione colpisce i meno favoriti, e che tale situazione può essere affrontata potenziando l’organizzazione didattica, in particolare riguardo alla delicata tematica del recupero; oppure un’altra, che punta a ridurre la qualità intrinseca di quanto si trasmette a scuola -in particolare a scapito del sapere critico-, per eliminare il valore legale del titolo di studio ed organizzare il processo d’istruzione secondo modalità falsamente individualizzate e profondamente anti egualitarie che, dichiarando di evidenziare le doti e le abilità del singolo, in realtà lo inchiodano proprio a quelle condizioni di partenza rispetto alle quali lo si dovrebbe emancipare. Un obiettivo che, guarda caso, è particolarmente appoggiato dalle organizzazioni imprenditoriali –come diremo più avanti-, le quali pretendono di diventare esse stesse soggetti formativi, occupando spazi sensibili e decisivi della vita scolastica.
La delicatezza di questo tema, e la difficoltà della studiosa ad affrontarlo con il giusto impatto problematico, appaiono nell’ultimo capitolo dello studio, quello che vorrebbe proiettare l’insegnamento di Don Milani sui nostri tempi. Vi compaiono prese di posizione, semplificate, che non fanno riferimento significativo al dibattito sulla scuola in corso da diversi anni. Affermare, per esempio, che, per comprendere le ragioni delle critiche a don Milani «ci vorrebbe uno psicanalista»15, è affermazione tanto gratuita quanto segno di una caduta di stile, piuttosto frequente nelle pagine del volume. Quando però si afferma che «L’attacco è ai professori, gli intellettuali, come Tullio De Mauro, per esempio, o lo stesso Luigi Berlinguer, colpevoli di voler riformare la scuola in senso “egualitario” operando un avvicinamento asimmetrico tra modello scolastico liceale e professionale. Questo perché è inaccettabile pensare che l’unico obiettivo dell’educazione non sia quello di formare eccellenze ma cittadini sovrani»16, non solo si commette un falso storico, separando il progetto berlingueriano da una logica conservatrice che lo stesso ex ministro ha esplicitamente rivendicato17, ma non si coglie affatto lo scopo regressivo e classista di questo presunto avvicinamento tra istruzione liceale e professionale. Alla luce di un’analisi attenta della politica scolastica in corso, questa valutazione andrebbe ribaltata, e l’approccio di don Milani, che poteva avere qualche giustificazione nel contesto in cui lavorava e in quella fase storica, diventa ora solo riferimento di comodo per giustificare proprio una svolta conservatrice nella scuola italiana. Non che non persista il problema di una selezione non neutrale dal punto di vista sociale, ma il fatto che la scuola non sia riuscita a rispettare tale funzione programmatica che le attribuiva la Costituzione implica una riorganizzazione della didattica di recupero, non una messa in discussione di quei fondamenti.
(cont.)
Giovanni Carosotti
Note:
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G.Benedetti, D.Coccoli, Gramsci per la scuola. Conoscere è vivere, L’asino d’oro edizioni, Roma 2018.
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M.Revelli, Prefazione, in G.Benedetti, D.Coccoli, op.cit., p.IX.
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Ibid., p.XII.
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Proprio alla fine del 2017, aveva ricevuto molto consenso in campo intellettuale, l’Appello per la scuola pubblica (cfr.https://sites.google.com/site/appelloperlascuolapubblica/), che raccolse in pochi giorni oltre 20.000 firme.
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M.Revelli, op.cit., p.XII.
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G.Bendetti, D.Coccoli, op.cit., p.234: «Le cause note del suo conflitto con la curia sono state individuate verso tutto ciò che nella gerarchia ecclesiastica gli ricordava la sua origine borghese e i privilegi sociali che ne derivano.»
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Scuola di Barbiana, Lettere a una professoressa, Libreria Editrice fiorentina, Firenze 1976, p70-72: «Ai poveri fate ripetere l’anno. Alla piccola borghesia fate ripetizioni. […] Finché la vostra scuola resta classista e caccia i poveri, l’unica forma di anticlassismo serio è un doposcuola che caccia i ricchi. […] Il doposcuola va lanciato come si lancia un buon prodotto. Prima di farlo bisogna crederci».
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É il punto debole della tesi espressa da P.Mastrocola, L.Ricolfi, Il danno scolastico. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, La Nave di Teseo, Milano 2021, dove l’importanza della trasmissione di contenuti culturali irrinunciabili viene declinata sulla necessità di una selezione, senza mai affrontare criticamente l’organizzazione di una seria attività di recupero.
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V.Roghi, La lettera sovversiva, Laterza, Bari 2017.
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Ibid., p. XVI.
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Piuttosto che parlare di un «ritorno della selezione», sarebbe meglio sottolineare una nuova funzione selettiva oggi prevalente; quella che, attraverso le pratiche come i test INVALSI e i RAV (Rapporti di Autovalutazione), sostituisce la selezioni individuale con graduatorie tra istituti che orientano il pubblico.
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P.Bianchi, Nello specchio della Scuola, Bologna, Il Mulino 2020, pp.53-65.
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Cfr., tra gli interventi più significativi in merito, G.Ferroni, Una scuola per il futuro, La Nave di Teseo, Milano 2021, pp.95-140.
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Sul tema cfr. C.Laval, F.Vergne, Éducation démocratique. La révolution scolaire à venir, La Dècouverte, Paris 2021.
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V.Roghi, op.cit., p.192.
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Ibid., p.197.
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Tra I diversi materiali si veda: Il Sussidiario.net, Cara Gelmini, perché non rispolveri la riforma dei cicli?, in https://governo.narkive.it/jj2XcEak/l-ex-ministro-berlinguer-riforma-gelmini-occasione-per-cambiare-la-scuola https://www.cislscuola.it/uploads/pics/cislscuola_Berlinguer_Sussidiario_25102011.pdf