Le tre caravelle di Cristoforo Colombo
Concepita per l’esplorazione, nel 1492 la caravella era il vascello migliore per affrontare il viaggio che Cristoforo Colombo si apprestava a compiere.
Le navi di Colombo: la storia delle tre caravelle
L’ammiraglio Colombo dovette scegliere attentamente la propria flotta. Pur avendo ottenuto i finanziamenti per la propria spedizione, le navi disponibili erano limitate.
Parte della riuscita del suo viaggio si deve proprio alla capacità di Cristoforo Colombo nello scegliere la combinazione di vascelli più adatta alla traversata che lo attendeva. Privo dello standard stabilito successivamente delle carovane commerciali dalla Compagnia delle Indie Orientali, Colombo costruì la propria flotta basandosi sulla propria esperienza mercantile, bilanciando al meglio le risorse a sua disposizione.
La navi di Colombo: caratteristiche
La Niña, la Pinta e la Santa Maria, collettivamente note come “le caravelle di Colombo”, vennero scelte ciascuna per le proprie caratteristiche peculiari.
Colombo era un comandante esperto, con alle spalle una lunga esperienza nei commerci navali e nel valutare la propria flotta bilanciò la rapidità della Niña con la resistenza della Santa Maria (che difatti non era una caravella vera e propria) e la manovrabilità della Pinta. In questo modo, l’ammiraglio avrebbe potuto contare su un vascello esplorativo (la Niña), un’ammiraglia (la Santa Maria) ed un’agile vascello di scorta (la Pinta).
Cos’è una “caravella” e cosa significa il termine
Dall’arabo quārib, traduzione del latino carabus, con la parola “caravella” si tende ad indicare il tipico peschereccio latino, di cui la caravella inizialmente riproduceva la struttura velica di tipo latino.
I primi natanti di questo tipo vennero probabilmente introdotti intorno al 1451. Si trattava di vascelli agili, veloci e con scarse capacità di trasporto, ma anche con un equipaggio ridotto rispetto alle altre navi dell’epoca.
Queste caratteristiche le relegarono principalmente a ruoli esplorativi, funzioni poco appetibili per gli armatori del Cinquecento, almeno fin quando Vasco da Gama prima e Cristoforo Colombo dopo, non ne fecero rivalutare l’importanza, rendendole protagoniste nell’epoca delle grandi esplorazioni geografiche.
I nomi delle navi di Colombo
Molti sono gli aneddoti ed i misteri relativi ai nomi delle tre caravelle. Difatti la Niña, la Pinta e la Santa Maria non corrispondono alle reali identità dei vascelli impiegati da Cristoforo Colombo nella propria traversata dell’Atlantico.
La Pinta
Della Pinta, termine abbreviato per “la dipinta”, la reale denominazione resta tutt’ora sconosciuta. Il vascello è comunque il più importante dei tre, perché fu dal suo ponte che Rodrigo de Triana avvistò la costa delle Americhe (nonostante successivamente il promesso premio in denaro per il primo avvistamento sarebbe andato allo stesso Colombo).
La velatura superiore rendeva la Pinta più manovrabile delle altre due navi di Colombo. Montava difatti una vela quadra a prua, una grande sull’albero di maestra ed triangolare latina a poppa, cui si aggiungeva (anche se per alcuni studiosi si tratta solo di una speculazione) una vela civata sul bompresso, assente nella maggior parte delle altre caravelle del periodo.
La Niña
Con il termine spagnolo per “bambina”, si tende ad indicare il vascello rispondente al nome di “Santa Clara”, il cui soprannome derivava probabilmente dall’identità del proprietario: Juan Niño.
Come già detto, la Niña era un vascello perfetto per compiti di avanscoperta. Dotato di minore equipaggio e più piccola delle altre navi, risultava la più veloce anche grazie alla sovrastruttura alleggerita ed alla velatura quadra assicurata alle fiancate stesse del vascello.
La Santa Maria
Di proprietà del mercante basco Juan de la Cosa, la nave venne inclusa nella flotta su espressa richiesta della regina Isabella di Castiglia e sul suo reale nome esistono numerose teorie.
La più accreditata la identifica come “la Gallega”, termine inteso sia per indicarne l’origine Galiziana, che con l’allusione al nome delle prostitute spagnole dell’epoca. Stando ai resoconti, il nome “Santa Maria” sarebbe stato dato successivamente dallo stesso Colombo.
Esistono tuttavia degli appunti redatti da Bartolomeo de Las Casas, dai quali si evince l’ammiraglio sarebbe solito rivolgersi alla nave chiamandola “la capitana” o anche “la nao”, quest’ultimo termine probabilmente in riferimento alla classe navale del vascello. Difatti la Santa Maria non era affatto una caravella.
Il veliero era infatti una Nau, un’antenata della caracca, pensata per lunghe traversate oceaniche di natura commerciale (che all’epoca voleva dire circumnavigare l’Africa), con una stazza ben più possente rispetto alle altre due navi della flotta di Colombo.
La Santa Maria era più grossa, pesante e armata rispetto alle caravelle. Montava infatti cannoni sulle fiancate e cannoncini girevoli sia a poppa che a prua. Possedeva inoltre uno stivaggio superiore ed una struttura velica diversa rispetto alla Niña ed alla Pinta, che la rendeva meno manovrabile e più lenta rispetto alle vere caravelle.
Che fine hanno fatto le navi di Colombo?
Della flotta partita da Palos, solo la Niña tornerà in patria sotto il comando di Colombo. La Pinta rientrerà infatti in maniera autonoma dopo essere stata mandata fuori rotta da una tempesta.
La Santa Maria invece affonderà nei pressi di Haiti la notte del 25 dicembre 1492, dopo essersi incagliata contro la barriera corallina a causa di un inesperto timoniere assegnato al turno di notte.
Questo costringerà Colombo ad abbandonare parte dell’equipaggio sulla terra ferma, smantellando ampie sezioni della nave (il cui relitto è ancora oggi uno dei più ricercati dai cacciatori di tesori della regione), affinché gli uomini potessero costruirsi un riparo. La ciurma edificò quindi un fortilizio, chiamato simbolicamente “la Navidad”.
Questa struttura rappresentava ufficialmente la prima colonia europea stabilita nel nuovo mondo, distrutta negli anni successivi dagli indigeni Taino, stanchi dei soprusi perpetrati ai loro danni dai marinai spagnoli.
Bartolomeo de Las Casas: il biografo del viaggio
Quanto narrato fin qui, è stato ricavato dagli studi storici compiuti sugli scritti del vescovo cattolico Bartolomeo de Las Casas, biografo non ufficiale della spedizione di Colombo, che redasse una copia dei perduto diari di bordo dell’ammiraglio genovese. Quasi tutto ciò che sappiamo del primo viaggio di Cristoforo Colombo lo dobbiamo a lui, che in seguito alla scoperta dell’America, si stabilirà nel nuovo mondo.
Il suo operato fu fondamentale per la nascita del mito europeo del “buon selvaggio” ed il suo lavoro fu sempre rivolto alla difesa delle popolazioni indigene quanto degli schiavi importati dall’Africa.
Difatti le sue posizioni antischiaviste lo portarono a scontrarsi spesso con Carlo V, denunciando la crudeltà disumana nella sua gestione delle nuove colonie. In questo modo, il vescovo riuscì perfino a costringere il re alla rettifica legislativa delle Encomiendas, il sistema di sfruttamento dei nativi messo in atto all’epoca dai colonizzatori spagnoli.