Tre “Giambecchina” inediti: Giovanni Becchina e il Realismo lirico
Com’è noto, Giovanni Becchina, pittore sambucese dello scorso secolo – più noto come Giambecchina – assieme a Guttuso, Migneco, Greco, Mazzullo ed altri fu uno degli artisti che maggiormente onorarono la Sicilia con l’originalità e la viva espressività del loro linguaggio.
Ritengo, quindi, che potrà far piacere conoscere tre sue piccole opere, assolutamente inedite (in collezione privata sin dalla loro realizzazione) e relative ad uno degli aspetti meno conclamati ma non meno interessanti di quelli più comunemente noti. Vedremo di che si tratta, ma andiamo con ordine.
Nella primavera del 1948, il Museo Pepoli di Trapani chiedeva alla Soprintendenza alle Gallerie e alle opere d’arte della Sicilia di Palermo (da cui burocraticamente dipendeva) l’invio di un restauratore di dipinti per provvedere alle necessità che presentavano alcune tavole e tele prima di tornare alla nuova esposizione e riapertura del Museo, cui ancora si lavorava in quell’avanzato dopoguerra. Il Soprintendente del tempo, il Prof. Filippo Di Pietro, incaricava a tal fine Giambecchina, che allora collaborava con la Soprintendenza in questo campo.
Era tornato, infatti, da tempo da Milano e dagli accesi dibattiti, nel Gruppo di Corrente, su Realismo ed Astrattismo, Realismo socialista e Realismo puro e semplice, etc… lavorava in quel periodo soprattutto come frescante in tante chiese che si restaurano dopo i danni bellici e come restauratore di tavole e tele, secondo le richieste che gli vengono fatte dalla Soprintendenza alle Gallerie ed Opere d’Arte della Sicilia di Palermo.
Non che non dipinga anche “di suo”, anzi dipinge secondo una visuale peculiare che i critici hanno chiamato del “Realismo lirico”.
Ma torniamo alla cronaca. Nell’anzidetta qualità di restauratore, Giovanni Becchina come accennavo, giunge nella primavera del 1948 al Museo, dove allora iniziava la mia carriera nell’amministrazione dei beni culturali, da cui la nostra diretta conoscenza. Al Museo il Maestro si fermò due o tre settimane, e fu durante le pause del suo lavoro di restauratore che riprese tele e cavalletto per soddisfare la sua vocazione più profonda.
Nascevano, così, le tre piccole opere che qui presentiamo.
Il piccolo olio su tela con “Veduta del Golfo di Bonagia e del Monte Cofano”, dipinto dal Balio, il giardino pubblico di Erice (cm. 28×38). Risulta evidente, se si guarda alla raffigurazione con sensibilità estetica e non soltanto per il suo contenuto, che il pittore abbia guardato al bellissimo spettacolo che la natura gli poneva innanzi – dalle fronzute chiome degli alberi del Balio, dove aveva fissato il suo cavalletto, alla grande ed azzurra baia di Custonaci, sino alla cuspide bruno-dorata del monte Cofano sul fondo – con viva e sentita emozione.
Di diverso linguaggio, nel senso soprattutto cromatico ma non meno gradevoli in senso generale, ci appaiono i due acquarelli: l’ariosa e leggera raffigurazione del monumentale Chiostro secentesco, oggi del Museo Pepoli (cm. 70×35), e la fantasiosa “Lotta di cavalli” (cm. 35×70), ambientata in una campagna che ha sempre come sfondo il ricordo del mare di Bonagia e Custonaci.
Rispetto all’olio con il Monte Cofano… altre spazialità, altre linee e volumi, altre cromie… ma sempre fresche e piacevoli.
Fatti gli opportuni raffronti con quanto già noto e pubblicato relativamente a quel periodo… ci sembra che davvero possa accettarsi quella definizione di “Realismo lirico” anche per queste tre piccole opere, che trovano riscontro, quanto allo specifico linguaggio, in varie altre dello stesso decennio (visibili, tra l’altro nel grande catalogo della mostra palermitana del 2007) come “Mondello”, “La Casa di Damiano”, “Rincione”, “Battaglia”. Nei quali, come accennavo, non è difficile ritrovare gli aspetti più tipici del linguaggio formale di Giambecchina in quel periodo: ariosità compositiva, vivacità cromatica, gusto della pennellata etc.
E’ vero, Giambecchina è rimasto famoso soprattutto per le sue varie “ricostruzioni” del paesaggio siciliano – rispetto al tardoromanticismo della tradizione dei Leto, Lo Jacono, Catti etc. – ora in chiave memore del Cubismo ora affascinato dai colori inondati di sole…; come anche, in seperata sede, per la rappresentazione delle fatiche e sofferenze umane di tanti suoi contadini ed operai siciliani.
Ma non sono meno autentici e gradevoli, pur in diversa e meno impegnativa chiave| i suoi momenti meno ideologizzati ma altrettanto sensitivi come i nostri gustosi tre quadretti e gli altri dello stesso periodo.