Obiettivo “Triscele”, il lungo sonno
La bandiera della Regione siciliana garrisce sotto la spinta di un vento di maestrale piuttosto teso, accanto a quella della Repubblica e dell’Europa, sopra il portone cinquecentesco del Palazzo dei normanni, sede del Parlamento regionale siciliano.
La Triscele (la Trinacria) e la testa di medusa (Gorgoneion), che spiccano sullo sfondo rosso e giallo, raccontano il contorto percorso che le ha riportate sul frontone dei palazzi istituzionali. Dopo aver sventolato, nel 1944, con il movimento per l’indipendenza siciliana; con rimembranze di presenze nella rivolta del Vespro, nella rivoluzione del 1848 e del 1860 quando i Mille di Garibaldi chiusero definitivamente l’esperienza borbonica.
La bandiera simbolo delle rivoluzioni, delle velleità autonomistiche e indipendentistiche della Sicilia viene ripiegata e riposta nel suo astuccio con l’entrata in vigore dello Statuto autonomistico. Come Biancaneve, la Triscele si addormenta in un sonno profondo. Le ferite inferte dal turbolento momento vissuto con lo sbarco alleato, con le utopie di diventare il 49° Stato a stelle e strisce sotto la bandiera americana, con le aspirazioni del bandito Giuliano di guidare i “partigiani” del movimento autonomistico e con gli scontri con l’esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia guidato da Antonio Canepa, ne consigliarono vivamente la “messa in sonno”.
Il bacio del principe
Il risveglio dal “sonno” della bandiera avviene negli anni 1982- 1983 grazie all’azione congiunta di due deputati dell’Assemblea regionale: Massimo Ganci (professore di storia moderna, eletto come indipendente nelle liste del Partito comunista italiano), e Giuseppe Tricoli (anch’egli professore di storia moderna ma eletto nelle liste del Movimento sociale).
Un “risveglio” che si estrinsecò nella firma di uno specifico disegno di legge “con il quale si proponeva di far diventare simbolo della nostra Regione quello che invece, in questo disegno di legge, viene proposto come gonfalone della Regione”. Sono le parole di Tricoli, pronunciate in occasione dell’apertura della discussione generale del disegno di legge “Definizione ed adozione dello stemma e del gonfalone della Regione Siciliana (625-519/A) nella seduta n. 260 del 14 marzo 1980 (X legislatura). Il deputato, nel suo intervento in aula per illustrare il disegno di legge, afferma che: “il disegno di legge approda in Aula dopo una lunga polemica che ha interessato non soltanto gli ambienti politici, ma anche quelli culturali e in fondo gran parte dell’opinione pubblica siciliana nel corso della passata legislatura (la IX)”.
La Triscele ci spiega che l’opposizione all’approvazione di una legge che introduceva la bandiera della Regione veniva da due fronti, che avevano eretto nella precedente legislatura robuste barricate. Il primo, di natura politico-culturale, si era sviluppato in accesi dibattiti sull’opportunità delle scelte dei simboli da inserire nella bandiera-gonfalone che, secondo, alcuni evocavano periodi di dominazioni straniera; il secondo fronte era “romano” in quanto il governo centrale riteneva estremamente negativo di dare alla Regione la possibilità di esporre un proprio vessillo che avrebbe potuto alimentare ulteriori spinte centrifughe negative.
Salvatore Lauricella, il deus ex machina
Salvatore Lauricella, deputato socialista di rango e presidente dell’Assemblea regionale siciliana, nella sua profonda sensibilità politica percepisce la valenza della battaglia che si sta svolgendo per sottrarre al suo sonno la Triscele. E la esplicita nel suo intervento in aula in qualità di presidente della seduta nella quale si discute l’incardinamento del disegno di legge: “L’intervento particolarmente attento dell’onorevole Tricoli ha centrato in modo storico e culturale l’importanza di questa iniziativa specialmente in un momento in cui si fronteggiano due tendenze, una tendenza negativa e una positiva. La tendenza negativa è quella che vorrebbe appiattire il sistema dello Stato articolato su base regionale; la tendenza positiva è quella che, invece, vuole rivalutare e dare ruolo e funzione allo Stato regionale, con un potenziamento delle autonomie regionali. L’iniziativa legislativa in esame quindi è un atto, a mio avviso, di estrema fiducia rispetto alla validità e alla valutazione positiva che noi diamo allo Stato su base regionale e all’autonomia siciliana in particolare”.
Lauricella, con queste poche e incisive parole, prende in mano il disegno di legge e se ne fa garante politico non per motivi storico-culturali. Ma perché risvegliare dal “sonno” la Triscele e farla garrire al vento avrebbe avuto uno specifico significato politico nello scontro che si stava consumando con Roma per la costruzione di uno Stato su base regionale.
Lauricella, rientrato nel suo studio nella Torre pisana, convoca una riunione per disegnare un percorso che permetta all’Assemblea di approvare una legge per definire il disegno di legge incardinato in aula. Il capo di Gabinetto, nonché autore di queste memorie, è incaricato di tessere un percorso di raccordo con il Commissario dello Stato e con le segreterie generali della Camera e del Senato al fine di raggiungere l’obiettivo “Triscele”.
La mediazione
Il primo punto di mediazione portato sul tavolo del Commissario dello Stato è non fare menzione nella proposta di legge di bandiera, ma discutere solo su “gonfalone e stemma”.
Il motivo è molto semplice: qualsiasi comune dello Stato italiano ha un suo stemma e un gonfalone. Quindi non si poteva negare alla Regione, organismo costituzionale sovraordinato ai comuni, di dotarsi anch’essa di queste due icone. Inoltre, le Regioni a statuto ordinario avevano avuto già disegnato questo potere nei loro statuti. Ma sul tavolo del Commissario dello Stato rimaneva sempre il bozzetto con la Triscele come elemento dominante, e i colori rosso e giallo che non potevano essere metabolizzati da Roma. Il gonfalone avrebbe potuto essere accettato in quanto la Triscele era affiancata dagli stemmi normanno, svevo e aragonese – volutamente nessun riferimento ai tanto vituperati Borbone – ma la bandiera no.
Cauti e circostanziati contatti romani mandano alla presidenza dell’Assemblea segnali di disponibilità. Si decide allora, in una articolata riunione della prima Commissione legislativa, di licenziare il disegno di legge per l’aula senza inserire la bandiera e di lasciare solo un esplicito riferimento allo stemma e al gonfalone. Una scelta legata ad uno studio storico-giuridico attento e approfondito con riferimento ai Comuni e alle Regioni a statuto ordinario, dal quale appariva molto probabile la possibilità di una vittoria della linea politica della presidenza. Si decide, pertanto, di portare la legge in aula, di farla approvare, di resistere alla certa impugnativa del Commissario dello Stato e di attendere fiduciosi il giudizio di costituzionalità della suprema Corte.
La sentenza di costituzionalità
Il 5 aprile 1990 la legge sullo stemma e sul gonfalone della regione è approvata dall’aula e, così come previsto, il Commissario dello Stato il 20 aprile propone ricorso avverso il provvedimento normativo.
Le motivazioni sono legate, essenzialmente, al fatto che lo Statuto speciale della Sicilia non contiene formalmente un esplicito riferimento alla possibilità di adottare uno stemma e un gonfalone, a differenza di quanto previsto per il Trentino-Alto Adige e per il Friuli- Venezia Giulia.
L’ostacolo più rilevante che si cerca di superare nell’impugnativa (fatto ampiamente presente nel corso dei contatti informali avuti prima dell’impugnativa stessa) è il fatto che le Regioni a statuto ordinario abbiano già questa facoltà. L’affermazione – contenuta nel ricorso di incostituzionalità per sostenere questa tesi – fu che si trattava di competenze amministrative e non legislative che, per avere una esplicita valenza giuridica, necessitavano di una espressa e tassativa enumerazione.
Il 27 giugno 1990 la Corte costituzionale, con un’articolata sentenza, sposa in pieno le tesi dell’Assemblea e ritiene costituzionalmente legittimo l’impianto della legge fortemente voluta da tutte le forze politiche affermando:
“La portata del principio stesso (il principio fondamentale dell’autonomia espresso nell’art. 5 della Costituzione) implica che non può non ritenersi contenuto minimale dell’autonomia della regione il potere di scegliere i segni più idonei a distinguere l’identità stesa della collettività che essa rappresenta”.
La Triscele sventola sul Parlamento
Il 28 luglio 1990 la Regione promulga la legge: la Triscele viene svegliata dal suo sonno e compare sullo stemma e sul gonfalone. Ma ancora non è appagata: vuole garrire sotto la spinta del vento in modo esclusivo; contesta nel gonfalone la copresenza con altre realtà come quella dei normanni che considera dei parvenu.
L’obiettivo è raggiunto con il presidente dell’Assemblea, Nicola Cristaldi, una forte personalità che ritiene fondamentale ribadire l’importanza del ruolo dell’autonomia siciliana in un contesto nazionale dove le Regioni a statuto ordinario hanno progressivamente eroso gli spazi politico-costituzionali delle speciali. Cristaldi fa proprie le istanze della Triscele e inizia una campagna per riprendere il vecchio progetto di Tricoli e di Ganci. Chi scrive è incaricato di riprendere il bandolo della matassa e nella Conferenza dei presidenti dei gruppi parlamentari si decide di ripresentare il progetto di legge.
Con la legge regionale n. 1 del 4 gennaio 2000 che porta il titolo Adozione della bandiera della Regione. Disposizioni sule modalità di uso e di esposizione, l’obiettivo è raggiunto e la Triscele si colloca definitivamente al centro del drappo.
Alcune ditte specializzate nella realizzazione di bandiere sono pronte a realizzare dei prototipi del modello che così viene descritto nell’art. 1 della legge:
La bandiera della Regione è formata da un drappo di forma rettangolare che al centro riproduce lo stemma della Regione siciliana, raffigurante la Triscele color carnato con il gorgoneion e le spighe, come individuato all’articolo 2 della legge regionale 28 luglio 1990, n. 12.
Lo stemma ha dimensioni pari a tre quinti dell’altezza della bandiera. Il drappo ha gli stessi colori dello stemma: rosso aranciato e giallo, disposti nel medesimo modo.
2. La bandiera è alta due terzi della sua lunghezza.
3. All’innesto del puntale sull’asta della bandiera è annodato un nastro con i colori della bandiera della Repubblica.
Il primo alzabandiera svoltosi sul balcone della Sala Gialla è stato un istante impossibile da dimenticare, anche se sono trascorsi più di vent’anni da quel momento.
Quando la bandiera siciliana ha cominciato a garrire al vento, si è sentita la Triscele ringraziare tutti gli uomini di buona volontà che le hanno permesso di risvegliarsi dal lungo sonno.