La gestione dei poteri nel tempo storico delle pandemie – prima puntata
Tucidide e la peste ad Atene, l’infezione nel Trecento: i segni anticipatori di una difficile gestione tra alto e basso
La gestione del Covid 19 – nelle sue diverse fasi fino, a quella attuale della persistenza della pandemia e della somministrazione dei vaccini – ha coinvolto e coinvolge poteri nelle loro più differenti tipologie.
Si tratta di poteri centrali, periferici e locali, titolari di giurisdizione; poteri civili ed ecclesiastici; pubblica amministrazione; magistratura; corpi professionali che esercitano funzioni nel sistema sanitario; autorità non formalmente riconosciute, ma comunque influenti perché protagoniste della ricerca scientifica in campo medico (virologi, pneumologi, biologi, eccetera), quindi capaci di orientare le scelte del potere politico e dell’amministrazione pubblica in materia sanitaria; il sistema dell’informazione che, soprattutto attraverso i social media, esercita notevole influenza nella formazione del senso comune.
Per affrontare il tema della gestione dei poteri nelle pandemie a partire dalla nostra storia presente bisogna dunque, in prima istanza, prendere atto della sua complessità derivante sia dalle molteplici articolazioni, come si è prima considerato, sia dalla disposizione bidirezionale dello sguardo. La gestione dei poteri va cioè analizzata dall’alto e dal basso: tanto nella macrofisica dei poteri pubblici e dei corpi professionali che nella microfisica dei poteri che, dall’interno e dall’esterno, disciplinano le reazioni e i comportamenti individuali e collettivi di fronte alla pandemia.
La vera e propria giungla di poteri concorrenti sul territorio si fa ancor più intricata, quindi, quando va ad intrecciarsi con i poteri esercitati dai persuasori più o meno occulti dei social media che introiettano nei cittadini spesso fake news: informazioni apparentemente verosimili ma in realtà false, teorie complottiste, facili bersagli polemici, e via discorrendo.
L’intricata rete di poteri ne rende quindi assai problematica la gestione sia dall’alto che dal basso. Se “disciplina” vuol dire la convergenza – la corrispondenza, cioè, fra la capacità di comando da parte dell’autorità e la disponibilità all’obbedienza da parte dei governati – se ne deduce che la disciplina della pandemia oggi risulta di difficile realizzazione.
L’incontro fra l’alto e il basso non si raggiunge infatti facilmente soprattutto perché condizionamenti, disorientamento, spaesamento caratterizzano i comportamenti individuali e collettivi di fronte alla pandemia. Insomma analizzare il potere e i poteri come quell’insieme di tecniche che passano nel corpo sociale, secondo la visione di Michel Foucault, (M.Foucault, Microfisica del potere. Interventi politici, Torino, Einaudi 1977), oggi diventa sempre più complicato e problematico.
Se confrontiamo la storia presente con quella passata delle pandemie, ci accorgiamo che – a fronte delle trasformazioni attuali, prodotte soprattutto dal progresso medico-scientifico, dalle innovazioni tecnologiche e infrastrutturali, dall’evoluzione delle professioni sanitarie, da un maggiore radicamento dei valori della modernità nei comportamenti individuali – permangono caratteri ricorrenti proprio sul terreno della gestione dei poteri.
Si può partire dalla mirabile descrizione della peste di Atene offerta da Tucidide. Come non pensare, ad esempio, a Wuhan, alla difficoltà di stabilire il termine a quo del Coronavirus, quando si legge la pagina del grande storico greco che racconta della controversa origine dell’epidemia, delle più svariate e fantasiose ipotesi sulla sua genesi? Tucidide riferisce del disprezzo delle leggi, guarda le istituzioni che implodono e sono travolte dalla peste. Con acutezza coglie l’intreccio fra la paura, la ricerca spasmodica dell’effimero e del piacere, l’annullamento di tutti i freni inibitori.
La paura torna nella pestilenza a metà del 1300. Un cronista di Spalato descrive assai efficacemente gli effetti psicologici del terrore che coinvolge la popolazione, un terrore determinato dalla convinzione che potenze naturali e infernali congiurino per sterminarla: “A quel tempo l’aria era infetta e diventata oscura e fosca. E molte parti del mondo erano infette dal mortifero morbo epidemico. Il sole era diventato tenebroso a mezzogiorno e le stelle come di notte si mostravano in cielo.
La luna velata e tetra era soggetta ad eclissi. Una stella cometa con una gran coda apparve scintillando in cielo ad occidente e le altre stelle si vedevano cadere a terra dalla loro posizione in cielo. Il cielo si mostrava aperto e da quella apertura un fuoco celeste sfolgorante usciva ardendo con fiamma orrenda e con luce abbagliante, apparendo di notte a tutto il mondo. Un grande terremoto dominava in molti luoghi terribilmente, per cui molti edifici rovinavano in pezzi a terra. Venti furiosi soffiavano in diversa direzione premendo e fischiando con grandissimo impeto.
Il mare burrascoso e gonfio si sollevava alto rumoreggiando senza posa e tutti gli elementi davano segni dolorosi e tristi. Camminando di notte intorno alle mura della città ululavano a gran voce innumerevoli lupi rapaci che, assetati non di altro che di sangue umano, non più con occulte insidie ma apertamente facevano irruzione nelle case dei villaggi e dal grembo delle madri strappavano i bambini e assaltavano in schiera compatta non solo bambini, ma anche uomini armati, li dilaniavano con denti micidiali e divoravano molti cadaveri scavandoli dalle sepolture: sembravano non lupi o fiere ma demoni.
Cuculi e gufi, posati sopra le case, cantavano lacrimevoli cantilene; pipistrelli nidificavano in gran copia nelle case e squittivano nei templi. Corvi innumerevoli volando di giorno sopra la città gracchiavano con grande strepito. Anche nibbi e avvoltoi, in fitti stormi, stridevano alti in cielo e molti altri uccelli silvestri e vari animali bruti quadrupedi, avvicinandosi dal bosco alla città in enorme quantità, davano gran numero di segni prodigiosi.
Le furie infernali Aletto, Tisifone, Megera, uscendo dalle paludi stigie, in molteplici e varie forme apparivano agli uomini sulla terra di giorno e di notte più e più volte, terrorizzandoli sensibilmente, tanto che molti, vedendole, perdevano il senno e diventavano muti e senza parola e per questo terrore diventavano deficienti (P. Preto, Epidemia, paura e politica nell’Italia moderna, Roma-Bari, Laterza, 1987, pp. VI-VII).
Ma, oltre a questi segni, incubi, fantasmi, oltre la distruzione materiale di uomini e cose, oltre l’intreccio fra carestia, morbilità e crisi economico-sociale, elementi tutti che ricorreranno nei secoli successivi, la pandemia del Trecento produce anche effetti presagio di sviluppi alle radici della modernità: l’esigenza di una gestione politica dell’epidemia; la limitazione del mercato delle merci nelle aree del contagio; i controlli sanitari; la difesa nei confronti delle cosiddette “classi pericolose”; l’esigenza di un’autorità sanitaria centralizzata, uno dei fattori genetici dello Stato moderno; la nascita degli ospedali, insieme nosocomi e strutture assistenziali, il controllo dell’esercizio della medicina e delle arti paramediche.