Un laboratorio della transizione storica
Silvia Mantini, nel suo ultimo volume dal titolo Appartenenze storiche. Mutamenti e transizioni al confine del Regno di Napoli tra Seicento e Settecento (Aracne ed., 2016), affronta, a partire dal laboratorio aquilano e abruzzese, tre questioni della massima rilevanza storica.
La prima è l’autocoscienza della continuità dell’impero tra XVII e XVIII secolo nelle popolazioni del Regno di Napoli: in particolare nei sudditi che abitavano in una realtà di confine come il territorio aquilano. Nel passaggio dagli Asburgo di Spagna agli Asburgo d’Austria l’elemento della continuità imperiale è assai vivo. Dopo il 1707 nel legittimo ossequio al nuovo sovrano Carlo prevale la continuità con la dinastia d’Asburgo piuttosto che la discontinuità rappresentata dal nuovo governo. Quel che conta è sentirsi devoti e sudditi di un monarca asburgico, non importa se di Spagna o d’Austria.
La seconda questione ha a che fare col rapporto fra declinazioni singolari e declinazioni plurali dei sentimenti di appartenenza nell’antico regime. L’unico senso di fedeltà che si continua a declinare al singolare anche nei passaggi dinastici è l’obbedienza a un solo re, unico titolare della sovranità. Ma dopo il 1707, quando inizia la dominazione austriaca nel Regno di Napoli, le strategie familiari in Abruzzo mostrano una pluralità di appartenenze. Le alleanze di famiglie filo spagnole scrive la Mantini continuarono a convivere, in un gioco di squadre contrapposte, con le emergenti famiglie legate a rapporti di patronage filoborbonico o filo asburgico (p. 31). Gli Acquaviva rimangono fedeli alla monarchia spagnola, Restaino Cantelmo duca di Popoli è filoborbonico, i d’Avalos marchesi di Pescara sono sul fronte degli Asburgo d’Austria. Ma l’aristocrazia aquilana nel complesso appoggia il nuovo governo.
La terza questione riguarda le dinamiche della transizione. Tra Seicento e primo Settecento il Regno di Napoli partecipa, in tanti profili della sua storia, ad un passaggio cruciale che prepara le trasformazioni settecentesche. In realtà, come dimostra anche il volume della Mantini, non si tratta di un passaggio lineare da vecchi a nuovi equilibri, piuttosto di una complessa coesistenza tra permanenze e sviluppi. Così è, ad esempio, per la strategia del compromesso fra Monarchia, feudalità e nobiltà del Mezzogiorno, che continua ad essere fondata su un rapporto duttile e flessibile, sul riconoscimento reciproco di obblighi e interessi. Così è ancora per la vita religiosa e la spiritualità, in cui si segnala, ad esempio, la diffusione di elementi quietistici, ma anche lo sviluppo delle confraternite come attori del welfare. Nella vita culturale e nelle Accademie vanno profilandosi nuovi fermenti e il dibattito epistemologico sullo statuto dei saperi coinvolge anche alcune strutture culturali aquilane. E’ il contributo che anche da un’area periferica e di confine viene offerto alla crisi della coscienza europea (P.Hazard). Nuove sensibilità, nuovi linguaggi, dunque. Ma su tutto predomina la permanente rappresentazione dell’Aquila come città fedelissima.