Un santo degli umili e dei potenti
Il senso più pieno del volume di Giuseppe Caridi, Francesco di Paola (Salerno ed., Roma 2016) è nel sottotitolo: Santo europeo degli umili e dei potenti. Italiano nella prima parte della sua vita e francese negli ultimi anni, Francesco ebbe fortuna europea per più motivi: per la diffusione e il successo dell’Ordine da lui fondato, quello dei Minimi; per la devozione internazionale che lo coinvolse; per la mitografia del personaggio che interessò la musica, la pittura, la letteratura. Eremita, santo vivo popolare, taumaturgo, Francesco fu anche assai legato ai poteri locali e svolse importanti funzioni di mediatore diplomatico. C’è più di una ragione, dunque, che rende di straordinario interesse la biografia del santo, che Caridi ricostruisce con scrupolo e meticolosità, attraverso un’indagine quasi giudiziaria tra agiografia e storiografia, l’attenzione critica alle fonti e al contesto generale del tempo.
Già a sedici anni Francesco diede i segni premonitori di santità e nel 1430 fondò il primo romitorio a Paola. La rinascenza eremitica si diffuse poi dalla Calabria alla Sicilia e giunse il riconoscimento papale della congregazione. La fama del santo vivo, capace cioè di creare intorno alla sua figura già in vita, attraverso la condotta e le virtù taumaturgiche, l’aura di santità, si diffuse immediatamente. Ma, al tempo stesso, emerse anche l’altra componente della personalità di Francesco: il legame con i potenti. Ebbe un rapporto tormentato con Ferrante d’Aragona, passato dalla simpatia alla diffidenza, tornato infine alla ricostruzione di una relazione più positiva. Ma fu soprattutto la malattia di Luigi XI e la fama taumaturgica dell’eremita di Paola a spostare il centro di gravitazione della vita del personaggio verso la Francia. Francesco fu spinto da papa Sisto IV ad andare alla corte francese per due motivi fondamentali: per sollecitare la guarigione del re, certo, ma soprattutto per svolgere una mediazione diplomatica tesa a tutelare gli interessi della S. Sede.
Dal 1483 al 1507 Francesco visse nell’orbita di tre sovrani francesi: Luigi XI, Carlo VIII, Luigi XII. A corte si percepì la doppia fisionomia dell’eremita, sant’uomo e diplomatico. In realtà l’obiettivo prioritario e fondamentale di Francesco era il riconoscimento dell’Ordine dei Minimi che finalmente arrivò nel 1493 ad opera di papa Alessandro VI Borgia. L’Ordine si diffuse in Francia, Spagna, Germania e Italia. Le ragioni della straordinaria fortuna furono sostanzialmente due: la risposta alla crisi religiosa del tardo Quattrocento; il favore delle gerarchie politiche ed ecclesiastiche.
Il processo di canonizzazione di Francesco fu assai travagliato. Non furono poche le pressioni tese a rinviarne di un secolo la realizzazione, perchè l’immagine di Francesco era assai differente dal modello tradizionale di santità. Ma in realtà essa arrivò abbastanza presto, a dodici anni dalla morte, nel 1519. Erano passati solo due anni dall’affissione presso la porta del castello di Wittemberg delle 95 tesi di Lutero. La canonizzazione di Francesco fu dunque in primo luogo una reazione della Chiesa all’eresia luterana e un’ulteriore risposta alla crisi religiosa del Cinquecento. Ma fu anche, ancora una volta, il risultato della forte spinta alla canonizzazione e alla sua accelerazione voluta dal re francese Francesco I.
Dalla biografia di Caridi emergono con chiarezza tutti i tratti della personalità di Francesco. Ma fu veramente pacifista, come sostiene l’autore? Si battè certo a favore dell’equilibrio degli Stati italiani e per la loro unità contro il pericolo turco. Ma sostenne l’invasione di Carlo VIII nel Regno di Napoli che ne provocò la fine dell’indipendenza. Una contraddizione tra le tante di questo santo vivo? In realtà egli ebbe un solo, esclusivo e costante interesse: il riconoscimento e la diffusione della sua creatura, l’Ordine dei Minimi.