Una didattica pro o contro la storia
La decisione di sopprimere, per quanto riguarda la prima prova del nuovo Esame di Stato nelle Scuole Secondarie superiori, la traccia dedicata in modo specifico alla disciplina della storia, ha comprensibilmente suscitato immediate reazioni critiche.
Il 6 ottobre Vittoria Fiorelli, sul Corriere del Mezzogiorno, aveva stigmatizzato la decisione, contestualizzandola all’interno di un processo di lungo corso, che ha visto la storia sempre più emarginata nel contesto contemporaneo, caratterizzato da un «presentismo» che si configura quale assenza di memoria, incapacità di comprendere criticamente gli avvenimenti del presente, non sapendoli collocare in modo corretto rispetto a un passato, di medio e lungo periodo, che ha concorso a determinarli. Una presa di posizione altrettanto critica è stata poi resa pubblica dalla SISSCO. Le repliche registratesi a livello politico hanno voluto ridimensionare la portata di questi giudizi, sottolineando come l’approfondimento di carattere storico non veniva affatto escluso dalle nuove prescrizioni, ma ricompreso nella nuova formulazione della tipologia B, destinata a sostituire il “saggio breve”. Argomentazione ribadita in modo più autorevole dallo stesso prof. Luca Serianni, a capo della Commissione che ha concepito le nuove modalità della prima prova scritta. Tale replica ha effettivamente un suo fondamento, dal momento che la tematica di argomento storico è comunque compresa nella “tipologia B”. Eppure questa constatazione non toglie affatto efficacia alle reazioni preoccupate per la scomparsa della traccia specificatamente storica; purché si sia consapevoli che tale valutazione critica, per essere adeguatamente sostenuta, deve avere ben presenti le dinamiche che, in modo più vasto, interessano ormai da diversi anni il mondo della scuola.
La motivazione della scomparsa della “tipologia C”, infatti, ha ragioni di più ampio carattere metodologico, nel discutere correttamente le quali, però, la questione della storia e della sua marginalizzazione all’interno dei curricoli appare sempre in tutta la sua rilevanza. Nel caso specifico, la scomparsa del tema storico si spiega con la decisione di proporre in via esclusiva, quale unica modalità di espressione scritta, un’idea di svolgimento che trae spunto sempre da un testo, rispetto al quale si chiede successivamente un’analisi guidata, attraverso dei punti chiave di comprensione, più o meno rigidi. Il tema di argomento storico invece, come anche il vecchio tema letterario, abolito ormai da diversi anni, prevedeva uno svolgimento, a partire da una traccia data, che l’alunno doveva strutturare in totale libertà, mettendo in gioco le sue conoscenze, le sue capacità di affrontare la problematica storiografica posta dalla traccia, senza seguire obbligatoriamente un percorso interpretativo deciso da altri. Stava al candidato, in questo caso, scegliere i riferimenti e le eventuali citazioni adatte.
L’analisi del testo rappresenta sicuramente un’abilità importante e significativa, ma che essa debba essere privilegiata in modo esclusivo, impedendo agli alunni in via di principio di esercitare il loro libero pensiero critico, rappresenta probabilmente una forzatura. Anzi, sarebbe auspicabile che, accanto all’analisi del testo, ricompaia la traccia più genericamente letteraria, dove un’altra capacità importante di riflessione, quella della storicizzazione (come vedremo, quella che più scientemente viene presa di mira dalle metodologie didattiche che le nuove teorie riformatrici vorrebbero imporre al corpo docente), può essere messa in gioco. Alle argomentazioni appena esposte molti replicano sottolineando il dato statistico che tale traccia era ormai svolta dall’1% dei candidati. Si tratta del classico caso in cui un riferimento numerico sembra costituire una prova inoppugnabile e vincente. In realtà, anch’esso risulta variamente interpretabile se adeguatamente storicizzato: e da anni che si invitano gli alunni a esprimersi attraverso procedure comunicative semplificate; da decenni la «didattica per competenze» preme sui docenti affinché semplifichino e destrutturino i contenuti dei loro programmi, facendo di questi ultimi dei semplici «apparati serventi» (MIUR, Competenze e curricoli: prime riflessioni, 2001) di capacità operative che si presuppone debbano costituire l’obiettivo più urgente del processo di istruzione. Per cui gli studenti finiscono per lavorare su materiali già predisposti, non solo nei contenuti ma anche nella successiva fase di strutturazione del discorso, evitando orientamenti personali e ulteriormente delegittimando l’impegno di quegli insegnanti, che invitano gli studenti ad ampliare i propri orizzonti culturali.
Si valuti anche la sciagurata decisione, che risale al ministero Gelmini, di ridurre il tempo a disposizione del docente di storia che, in particolare nel Quinto anno, è impossibilitato a svolgere con il dovuto approfondimento storiografico il programma. Contemporaneamente a questa discutibile decisione (l’unica giustificazione che Serianni, bontà sua, riconosce ai docenti della disciplina) si sono susseguite negli ultimi anni tracce nella «tipologia C» assolutamente improbabili, che scientemente prevedevano riferimenti a parti del programma troppo avanzato o a elaborazioni talmente generalizzanti che non potevano essere svolte nel corso dell’anno. Per esperienza personale posso affermare che –come è accaduto per le prove dello scorso anno- quando i titoli proposti facevano riferimento a problematiche che rientravano nelle possibilità di svolgimento nel corso dell’anno, le percentuali sono state in alcuni casi ben più soddisfacenti. Conviene però allargare i riferimenti. La riduzione oraria imposta ad alcune discipline non è stata mai il frutto di una scelta neutrale, ma sempre finalizzata a rendere impossibile la realizzazione del programma, in modo da costringere i docenti a mutare la metodologia d’insegnamento, incentrata sui «macro argomenti» (Gavosto) o su una struttura modulare, con l’obiettivo di consentire il raggiungimento delle «competenze».
Come si evince dal primo documento significativo, a partire dall’approvazione della Legge107, dedicato dai tecnici del ministero a una disciplina specifica (Orientamenti per l’insegnamento della filosofia nella società della conoscenza), la comunicazione disciplinare, proprio perché ha un fine al di là di se stessa, deve comunicare «bussole» per l’orientamento nella vita, costituire una «cassetta degli attrezzi concettuale», che è possibile acquisire anche senza le conoscenze specifiche. Se riferissimo questi discutibili principi (sicuramente peraltro non condivisi da buona parte della stessa classe docente) all’insegnamento della storia, esso si risolverebbe sostanzialmente in una sua negazione, non prevedendo in linea di principio un’esposizione che, per essere esaustiva, deve fare proprio uno studio fondato sulla successione cronologica. Non a caso, in questa scuola fondata non più sulle discipline ma su «macro argomenti», lo storia figura per lo più come cornice contestualizzante, mentre l’approccio storicistico viene negato nella sua efficacia in riferimento alle altre discipline del curricolo. Entrambe queste discutibili scelte risultano evidenti nell’impostazione della Prima prova scritta ma, in generale, per tutto il nuovo Esame di Stato.
La conseguenza più grave di questa impostazione è quella di espellere dalla scuola la storiografia, il confronto interpretativo, la consapevolezza della dimensione storica della realtà, quello sforzo critico di riferimento al passato che Sandro Rogari ha definito il «fattore di contesto». In accordo con la «didattica per competenze», invece, l’alunno può unicamente esprimersi –e il caso delle tracce dei temi lo evidenzia in modo lampante- anche su argomenti da lui ignorati, poiché ciò che gli viene proposta non è solo una tematica, ma anche l’intera procedura per discuterla. Quelli che Giroux ha definito «comodi prepensati».
In riferimento a tale tematica, il mondo universitario –e in particolare gli storici- hanno reagito con un duplice atteggiamento, che prescinde però spesso da un coscienzioso confronto con gli insegnanti della scuola superiore. Il primo fa capo a chi, forte della propria conoscenza disciplinare, ritiene di comprendere già solo per questo le problematiche legate alla didattica, in modo decisamente più competente degli stessi insegnanti. È il caso, a mio parere, di un intervento dello storico Aldo Giannuli pubblicato sul suo blog. Non possiamo entrare nel merito di tutte le osservazioni ivi contenute, ma ci sembra che tali riflessioni prescindano dalla diversa relazione didattica che, per forza di cose, si istituisce tra Scuola superiore e Università, con inevitabili differenze nel rapporto tra docenti e studenti. Giannuli fa riferimento a possibili strategie comunicative alternative che peccano francamente d’ingenuità, sulle quali già ironizzava nel 1998 Giulio Ferroni.
L’utilizzo di metodi di comunicazione più accattivanti (ma per quanto tempo? Come modalità didattica principale o ausiliaria?) non assicura affatto una maggiore motivazione verso lo studio, soprattutto da parte di quegli studenti che possono trovarsi in condizione oggettiva di disagio. Spiace poi constatare con periodicità come tali interventi si concludano con un attacco agli insegnanti, di cui si evidenzierebbe la scarsa preparazione; un atteggiamento analogo a quello presente nei diversi recenti documenti ministeriali. Un’analisi particolarmente acuta ci sembra invece quella proposta da Francesco Germinario, nel primo capitolo di “Un mondo senza storia”, dedicato proprio al tema della «didattica per competenze» e alla sua incompatibilità con l’insegnamento della storia, con la pratica storiografica e la crescita del senso critico, sicuramente il primo obiettivo formativo che la storia è in grado di far conseguire.
Una posizione alternativa rispetto a quella sostenuta da Walter Panciera su questo portale (l’articolo pubblicato su L’Identità di Clio), in quanto sostiene come la pratica del problem solving, applicata ad ambiti diversi da quelli in cui ha avuto origine, si risolva in una negazione della riflessione storica, il cui fine è quello di suscitare problemi e moltiplicarli, piuttosto che risolverli attraverso procedure guidate, che inevitabilmente si prestano a nuove contraddizioni e aperture. La storia per competenze si risolve allora in un colossale progetto di spettacolarizzazione, che espunge da sé proprio la riflessione e il tentativo di comprendere gli eventi umani. Una metodologia in linea con quel progetto di «presentificazione» già richiamato da Vittoria Fiorelli, concepita per formare diplomati e cittadini incapaci di osservare il sistema in cui vivono dall’esterno, per proporne, anche in virtù della conoscenza storica acquisita, un possibile miglioramento e una eventuale trasformazione; l’idea è quella di formare persone non in grado di trascendere il sistema nel quale sono inseriti, rispetto al quale si predica una accettazione incondizionata.
L’intervento del prof. Panciera si rivolge ai colleghi storici e li invita ad uscire da loro specifico disciplinare, per aprirsi alle conquiste in questi anni raggiunti dalla scienza pedagogica. Ma, come mostra non solo lo studio di Germinario, ma un dibattito ormai di lunga data (da Lucio Russo, a Giulio Ferroni, A Giorgio Israel, ma l’elenco è molto più lungo), nonché il successo guadagnato presso una parte significativa del mondo intellettuale dall’Appello per la Scuola Pubblica, questa nuova pedagogia non possiede affatto un solido fondamento scientifico, rispetto al quale può richiamarsi l’intera comunità degli studiosi. Tanto che gli stessi sostenitori di questa presunta «didattica innovativa» hanno dovuto cercare altre fonti di legittimazione, di carattere più eminentemente economicistico. Ne è un esempio la pubblicazione curata dalla Fondazione Agnelli dove, in riferimento all’apparato teorico che dovrebbe sorreggere questa nuova pratica didattica, si legge: «in assenza di un robusto impianto teorico, sopperisce evidentemente (sic) l’autorevolezza dell’Istituzione».
Ci sembra dunque indubbio che i presupposti della nuova didattica, che in qualche modo le riforme ministeriali vorrebbero imporre evitando un serio confronto critico, siano, per gli strumenti che intendono valorizzare (il problem solving e il pensiero computazionale, lo spezzettamento dei programmi, ridotti a «bussole» e a «cassetta degli attrezzi», il contenuto storico ridotto a puro sfondo di nuclei argomentativi più vasti), strutturalmente ostili alla disciplina storica nella sua evidente specificità, e ne presuppongano un ridimensionamento contenutistico e uno stravolgimento metodologico (che non riguarda solo la disciplina in sé, ma qualsiasi approccio storicistico applicato a ogni campo della cultura). Un’adeguata riflessione dedicata alla teoria della storia, unita a una conoscenza puntuale dei criteri con cui si è voluta trasformare la scuola italiana, perseguiti in questi decenni con estrema coerenza, dovrebbe invece condurre a una strenua difesa sia del proprio specifico disciplinare (fondato sull’importanza di una conoscenza che rispetti la continuità e la progressività cronologica, che affronti la questione del «fattore di contesto», della complessa relazione passato-presente, che valorizzi il carattere centrale del confronto e dell’interpretazione storiografica contrapponendola alla fallace illusione di poter utilizzare la storia come strumento per offrire risposte, inequivocabili e non problematiche, ai grandi temi del nostro tempo) sia degli obiettivi formativi irrinunciabili che la storia è in grado di veicolare, e che possono proporsi, in controtendenza verso le proposte attuali, come modello di un intero progetto d’istruzione, di crescita critica e culturale delle nuove generazioni.
Bibliografia e materiali
Vittoria Fiorelli, Maturità 29019, la storia cancellata dagli esami, “Corriere del Mezzogiorno”, 06/10/2018 https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/18_ottobre_06/maturita-2019-storia-cancellata-esami-66495f7e-c93c-11e8-8979-d069cfd73493.shtml
http://www.sissco.it/articoli/sulla-rimozione-della-traccia-di-storia-dallesame-di-stato/
https://www.laletteraturaenoi.it/index.php/scuola_e_noi/881-luca-serianni-sulla-riforma-della-prima-prova-dell%E2%80%99esame-di-stato.html
A.Gavosto, Un insegnamento più europeo passa per il lavoro di gruppo, La Stampa, 19/12/2017
https://www.orizzontescuola.it/associazione-presidi-vuole-abolizione-delle-materie-scolastiche-e-delle-graduatorie/
http://www.indire.it/wp-content/uploads/2017/12/Documento-Orientamenti.pdf
S.Rogari, La scienza storica. Principi, metodi e percorsi di ricerca, UTET, Torino 2013.
Henry A.Giroux, Educazione e crisi dei valori pubblici, La Scuola, Brescia 2010.
http://www.aldogiannuli.it/didattica-della-storia-abbasso-il-manuale/
G.Ferroni, La scuola sospesa. Istruzione, cultura e illusioni della riforma, Einaudi, Torino 1997.
F.Germinario, Un mondo senza storia, Treste, Asterios 2018.
https://sites.google.com/site/appelloperlascuolapubblica/
Fondazione Agnelli, Le competenze, Il Mulino, Bologna 2018.
G.Carosotti, L’impossibile incontro tra didattica della storia e didattica della competenze, http://www.casadellacultura.it/784/l-impossibile-incontro-tra-
S.Pizzetti, G.Carosotti, Il sapere storico oggi, https://www.youtube.com/watch?v=yLHUrXaTGko&t=3930s
G. Carosotti, L’ideologia della buona scuola, in Koiné, Per una scuola vera e buona, Petite Plaisant, Pistoia 2018.