Una Sicilia carnivora
Una premessa
Dopo la pubblicazione del post sugli arancini ho ricevuto numerose sollecitazioni a proseguire con delle riflessioni sulla storia del cibo nella realtà siciliana. Le sollecitazioni giunte sul blog sono state tante e, spesso, contradittorie ma convergono tutti sulla necessità di percepire in termini temporali e strutturali i mutamenti dei regimi alimentari che hanno caratterizzato nei secoli la Sicilia. Per rispondere a queste sollecitazioni ho tracciato un percorso che mi porterà non solo a delineare i cambiamenti dei regimi alimentari nel corso dei secoli ma, anche, a esaminare la struttura della cucina, i ricettari, i prodotti degli orti o della pesca. Una ricostruzione non fine a se stessa, bensì mirata a sollecitare un confronto con le altre realtà regionali per creare percorsi conoscitivi comparativi.
La Sicilia carnivora
Gennaio 1391, al notaio Manfrè di La Muta di Palermo è presentato il conto del banchetto offerto in occasione delle sue nozze. La lista delle spese ci permette di ricostruire la lista degli alimenti consumati nel banchetto: quattro vitelli, quattro castrati (agnello castrato), 40 galline, un cappone, 10 maialini, una salma di frumento per fare il pane, riso, zafferano, cannella e zucchero in quantità non precisate. Una botte di vino bianco è spillata per accompagnare le vivande. Dall’affitto delle stoviglie utilizzate per il banchetto si ricava che il numero degli invitati possa essere stimato intorno alle 100 unità. Infatti si utilizzeranno: 30 spiedi, 150 piatti, 100 salsiere, 150 tazze e 25 cannate (boccali di terracotta utilizzate per portare il vino sulle tavole). La struttura di un banchetto costituisce un ottimo indicatore per individuare il modello alimentare considerato come ideale in quelle determinate condizioni di tempo e luogo. Il punto di forza del banchetto è costituita dalla carne — di vitello, di maiale e di agnello — arrostita sugli spiedi e servita con un contorno di salse nelle quali entrano come componenti aromi quali la cannella, lo zafferano e lo zucchero. Le galline e i capponi sono utilizzati per il brodo, nel quale si inzuppa il pane, servito nelle tazze. Da sottolineare la presenza del riso, forse utilizzato per ispessire il brodo, e la totale assenza della pasta.
Un’ulteriore conferma del modello alimentare medievale siciliano incentrato sulla carne la si ricava dall’esame del rendiconto delle spese sostenute da una delegazione di otto cittadini palermitani che nel 1415 si recano in missione ufficiale a Catania per conto del comune di Palermo. Dal 15 gennaio al 14 febbraio sono annotate tutte le spese sostenute per far fronte alle necessità logistiche del viaggio e in particolare quelle relative alla preparazione dei pasti. Si può ricostruire, quindi, il pasto tipo consumato nel corso della giornata. Anche in questo caso la pasta rappresenta un’eccezione dato che in 31 giorni viene consumato una sola volta sotto la forma di maccheroni, mentre il piatto base è rappresentato dalla carne consumata due volte al giorno con un contorno di verdure; il formaggio e la frutta, fresca o secca, concludono il pasto. A mezzogiorno si preferisce la carne bovina o di castrato mentre la sera di maiale o di salsiccia. Il venerdì e sabato, giorni di magro, la carne è sostituita dal pesce fresco, dalle anguille, dalla turbina salata oppure dalle uova. Formaggio, cardi, arance, insalata, pane e vino costituiscono gli altri alimenti intorno al quale si incardina il consumo della carne. Un ulteriore indicatore dell’importanza che si attribuisce alla carne come base del modello alimentare comunemente diffuso nella società siciliana medievale, lo si ricava dall’esame della componente in natura dei contratti di lavoro registrati negli atti notarili. Un contadino addetto alla coltivazione della vigna riceve per contratto dai 1.200 ai 1.600 grammi di carne alla settimana oltre al salario in denaro. Un consumo giornaliero stimato di gr. 250 di carne a persona.
Ci troviamo di fronte ad un modello alimentare che trova la sua motivazione in un complesso di fenomeni economici nei quali entrano in gioco diversi fattori: una dinamica salariale favorevole al lavoratore, la bassissima pressione demografica che caratterizza la Sicilia per tutto il medioevo e la presenza di grandi spazi vuoti intorno alle città dove possono essere allevati numerose mandrie di bovini ed ovine. Le numerose foreste ancora integre permettono, inoltre, di rifornire i mercati cittadini di selvaggina.
Un’ulteriore riprova della particolarità del modello alimentare medievale è dato anche dalla struttura dei mercati alimentari palermitani che rispecchia il modello alimentare di riferimento. Ad esempio la “Vucciria” si articola su quattro settori quello delle carni, quello dei pesci, quello dei latticini è quello delle verdure. Ognuno con un settore prestabilito nel quale si raggruppano tutti venditori di prodotti simili.
Una Sicilia carnivora, quindi, che sconosce la pasta e consuma grandi quantità di carne costruendo un modello alimentare che certamente rimarrà in uso sino alla fine del secolo XV.
Per coloro che volessero approfondire il tema del consumo della carne in Sicilia in età medievale può consultare il saggio allegato in PDF (A. Giuffrida, considerazioni sul consumo della carne a Palermo nei secoli XIV e XV).
Antonino Giuffrida