Per una microstoria dell’Unità d’Italia
La Vigàta nei romanzi storici di Andrea Camilleri
Nel panorama storiografico italiano, nel corso degli anni Settanta del secolo scorso, si è sviluppato il ramo della microstoria.
Illustri sono i nomi che compongono questo filone come la storica statunitense Natalie Zemon Davis, autrice de Le culture del popolo Sapere, rituali e resistenza nella Francia del Cinquecento (1980), Donne ai margini: tre vite del XVII secolo (1995). E i due esponenti di spicco dell’area italiana: Carlo Ginzburg, storico italiano di origine ebraica autore di pietre miliari della storia della stregoneria come I Benandanti (1966), Il formaggio e i vermi (1976) e Storia notturna (1989) e Giovanni Levi, anch’egli storico e autore de L’eredità immateriale (1985) e Centro e periferia di uno stato assoluto (1985).
Gli oggetti esaminati dalla microstoria e dai suoi esponenti sono quei contesti regionali o locali in cui si sviluppa un determinato fenomeno. Per esempio, se si prende in analisi Il formaggio e i vermi di Carlo Ginzburg, si nota il contesto geografico in cui si svolge la vicenda del mugnaio Menocchio, il Friuli.
All’interno del contesto della letteratura contemporanea siciliana è possibile riscontrare questo metodo di analisi nei romanzi storici di Andrea Camilleri. Gli elementi che emergono sono molti: tra questi la mafia, la corruzione, le problematiche legate alla gestione del potere nella Sicilia del Regno d’Italia, la voglia di riscatto sociale e i casi di omicidio, che in Camilleri non mancano mai. E proprio nei romanzi, che verranno analizzati, La stagione della caccia (1992), La mossa del cavallo (1999), La concessione del telefono (2004) sono presenti sia gli elementi sopracitati sia il carattere microstorico. La cornice in cui sono ambientati i romanzi è la stessa Vigàta, eccezion fatta per La mossa del cavallo, che si svolge a Montelusa e per La concessione del telefono, contestualizzata tra Palermo, Montelusa e Vigàta del periodo post Unità d’Italia (1861).
Ne La stagione della caccia, il protagonista è il farmacista Alfonso La Matina, detto “Fofò”, figlio di Santo La Matina, curatolo del marchese Peluso, che curava un giardino miracoloso in un posto segreto, rigoglioso di frutti ed erbe che guarivano ogni male e barbaramente ucciso. La trama comincia a infittirsi con il primo omicidio, quello del padre del marchese Peluso: il quale asseriva che fosse venuta la sua ora poiché si era aperta la stagione della caccia. Così decise di farla finita e si annegò. L’altro delitto che seguì fu quello di Rico, figlio maschio del marchese, che morì in circostanze misteriose: si disse a causa di funghi velenosi. Di seguito ebbe inizio un’escalation di morti improvvise: la moglie morì dal dolore per aver perso il figlio così giovane. Fece la stessa fine lo stesso marchese Peluso, che, nonostante avesse perso il suo erede maschio, divenne padre di un altro figlio maschio avuto da una relazione extraconiugale.
Chiusero questa tragedia le morti dello zio Totò, fratello del marchese, con la moglie e il cugino Nenè, il quale corteggiava la figlia di Paluso, ‘Ntontò, unica erede del patrimonio di famiglia. Alla fine del romanzo la giovane ‘Ntontò sposerà Alfonso La Matina, che fin da bambino era innamorato di lei. Ma il vero colpo di scena sarà quando il giovane farmacista confesserà a un ufficiale di polizia di esserci lui dietro questi misfatti: il solo modo che aveva per sposare la giovane, visto il suo status sociale.
Ne La mossa del cavallo, romanzo ispirato a una storia realmente accaduta(1), il protagonista è il ragioniere Giovanni Bovara(2), ispettore capo dei mulini a Montelusa. Lo scopo della missione del Bovara era indagare sull’applicazione della tassa sul macinato: «il mugnaio doveva pagare al fisco la tassa in ragione dei giri; ma a seconda della diversità tra mulino e mulino, anzi da macina a macina, il prodotto di un ugual numero di giri variava […] si aggiunga che il mugnaio, tenuto a pagare la tassa in ragione dei giri, nel farsi rimborsare dal cliente […] doveva e non poteva altrimenti che conteggiargli la tassa secondo il peso. E giri e peso non andavano mai d’accordo; e fisco, mugnai, clienti, ognuno si riteneva danneggiato e derubato e ingannato»(3).
Quando arriva nella sua terra natia, Bovara comincia a vedere e percepire che il sistema è marcio e corrotto rappresentato da don Cocò Afflitto: nonostante tutto, il sistema non riesce a corromperlo. Mentre si appresta a ispezionare uno dei mulini, l’ispettore sente una schioppettata e pensa che qualcuno voglia ucciderlo. Tuttavia ad essere stato ucciso dallo sparo è Don Artemio Carnazza, il parroco del paese(4). Bovara denuncia l’omicidio, ma viene accusato dal cugino del curato, che alla fine si scoprirà essere il vero colpevole del delitto, mosso da una questione di eredità.
L’incarcerazione darà modo a Giovanni Bovara di essere come il cavallo degli scacchi, che «è l’unico pezzo del gioco che […] può scavalcare qualunque pezzo»(5). Ritroverà la sua sicilianità, comincerà a parlare in dialetto e si calerà nella mentalità dei siciliani. Ciò gli permetterà di essere scagionato da tutte le accuse.
Ne La concessione del telefono, protagonista della vicenda è il commerciante Filippo Genuardi, che richiede una serie di lettere al prefetto Vittorio Marascianno la possibilità di istallare una linea telefonica, la prima in paese, che andasse dalla sua attività commerciale alla casa del suocero ricco possidente. Non avendo risposta, il Genuardi ricorse ai favori di Calogero Longhitano, conosciuto come “don Lollò”, elemento di spicco della mafia locale. Il prefetto nel frattempo, lette e mal interpretate le richieste contenute nelle lettere, con la complicità dei reali carabinieri comandati dai tenenti Lanza Turò e Lanza Scocca, cominciò a tallonare il malcapitato Filippo Genuardi, accusandolo di essere socialista e sovversivo.
In seguito anche lo stesso don Lollò dargli la caccia, ipotizzando trame alle Proprie spalle. Così Genuardi si trovò contro la mafia e lo Stato. La vicenda non solo si concluderà con la morte di Filippo Genuardi per mano del suocero, dopo avere scoperto una relazione adulterina tra la moglie e il genero, ma anche con il trasferimento del delegato Spinoso, del questore e del vice prefetto Parrinello in Sardegna.
Le vicende delineate da Andrea Camilleri all’interno di questi tre romanzi storici non solo creano un microcosmo, ma mettono in risalto elementi, che sono propri del periodo post unitario. Ritroviamo la mafia che tiene i fili all’interno del paese di Vigàta, terrorizzando non solo i protagonisti, ma anche gli abitanti. È presente la voglia di riscatto e di mobilità sociale, come nel caso di La Matina che da semplice farmacista, sposa la marchesa ‘Ntontò. C’è la corruzione simboleggiata da don Cocò Afflitto contrastata dall’ispettore Giovanni Bovara, che nonostante all’inizio sia l’espressione di un Regno d’Italia debole(6), corrotto, poiché anche la polizia è reverente nei confronti del mafioso, e controllato dalla mafia.
Per tornare sull’aspetto microstorico, dalla lettura dei tre romanzi è possibile rintracciare la metodologia del filone storiografico; poiché i fenomeni che vengono analizzati si sviluppano nello stesso contesto territoriale che è la Sicilia.
Note:
1 Il romanzo di Andrea Camilleri è ispirato ai fatti narrati in L. Franchetti, Politica e mafia in Sicilia. Gli inediti del 1876, Bibliopolis, Napoli, 1995.
2 Nel corso del romanzo emergono alcuni aspetti interessanti della vita di Giovanni Bovara. Di fatto le informazioni che si hanno di lui sono che era nato a Vigàta, ma a tre mesi venne portato a Genova dai genitori. Nella stessa città prese il diploma da ragioniere e in seguito vinse il concorso all’Amministrazione, prestando servizio a Modena, Bologna e Reggio Emilia. Quando arrivò a Montelusa aveva quarant’anni, gli occhi celesti, i baffi e «più che un impiegato della pubblica amministrazione – come viene sottolineato da Camilleri – sembrava un militare in borghese» e non sapeva parlare il dialetto. (Cfr. A. Camilleri, La mossa del cavallo, Sellerio editore, Palermo, 1999, pp. 6-7.).
3 R. Bacchelli, il mulino del Po, vol. III, Edizione Mondadori, Milano, 2013, p. 85
4 Il personaggio di Don Artemio Carnazza è descritto in maniera negativa da Andrea Camilleri. Era un uomo tra i quaranta e i cinquant’anni e, nonostante fosse un prete, amava bere e mangiare. Ma la cosa ancor di più infamante era il suo rapporto con l’usura, poiché prestava denaro ai disperati a strozzo. E la lussuria che lo consumava a causa di donna Trisìna, che pur di ottenere tutto quello che voleva: come il lume o i cucchiaini d’argento, assecondava il parroco. (Cfr. A. Camilleri, La mossa del cavallo, Sellerio editore, Palermo, 1999, pp. 1-5)
5 A. Karpov, il manuale degli scacchi, cit., in A. Camilleri, La mossa del cavallo, Sellerio editore, Palermo, 1999.
6 Analizzando i fatti delineati ne La concessione del telefono, vi sono i tenenti dei carabinieri Lanza-Turò e Lanza-Scocca che dopo aver pensato Filippo Genuardi un agitatore socialista cercano ugualmente di incriminarlo, ricorrendo a mezzi illeciti. Lo stesso prefetto Vittorio Marascianno, che di fronte alle vicende vigatesi non sa reagire. L’unico modo sarà quello di sostituire il vice prefetto, trasferito per punizione in Sardegna, con un uomo incapace, che non riesce a risolvere la situazione.