Il vaiolo, il carbonchio, la rabbia: storia di scienziati tenaci e coraggiosi
Le prime epidemie di cui si conservi memoria storica risalgono a circa 10.000 anni fa, sul finire dell’ultima glaciazione, allorquando si assiste a un cambiamento radicale nella vita urbana dell’homo sapiens. Il passaggio, cioè, da isolati insediamenti tribali a centri ad ampia densità abitativa e con esso la domesticazione di piante e specie animali varie (bovini, ovini, avicoli).
L’eterna lotta tra uomini e germi
Ciò ha comportato il diffondersi degli agenti patogeni all’uomo e, conseguentemente, lo sviluppo delle prime epidemie. Il vaiolo – malattia virale trasmessa all’uomo da bovini e cammelli – rappresenta una delle prime zoonosi ad emergere nell’antico continente, affliggendo con le sue cicliche ondate intere generazioni, con tassi di mortalità fino all’80% ed esiti nei sopravvissuti come cecità, deturpazioni cutanee e deformità agli arti.
Nella storia dell’umanità è stata la prima malattia ad essere debellata sulla Terra, come dichiarato dall’OMS, nel 1979.
È proprio il vaiolo l’oggetto delle descrizioni delle prime forme di immunizzazione artificiale. Esse vengono praticate in Cina già a partire dal 1000 dopo Cristo: i medici di corte proteggono le persone sane dal contagio insufflando nelle loro narici la polvere di croste di soggetti affetti da vaiolo. Tale pratica – detta variolizzazione – consente di acquisire “memoria” della malattia conferendo protezione a vita da eventuali nuovi contatti con l’agente patogeno, riducendo in tal modo, in maniera significativa, l’indice di mortalità.
Grazie agli scambi culturali e commerciali che caratterizzano la “via della seta”, la tecnica della variolizzazione si diffonde dapprima in Turchia e successivamente in Europa.
I medici ottomani praticano l’immunizzazione da vaiolo con differente modalità rispetto ai cinesi: prelevando frustoli di materiale dalle pustole di soggetti affetti e inoculandoli in corrispondenza della regione deltoidea della spalla del soggetto sano, mediante due aghi puntuti.
La diffusione di questa tecnica in Inghilterra avviene a partire dal 1721 per opera di Mary Wortley Montagu, consorte dell’ambasciatore britannico in Costantinopoli, sfigurata in gioventù dal vaiolo. Montagu promuove tale metodica presso le autorità inglesi e, dopo averla testata anche sul suo primogenito, la effettua sui due figli della principessa Carolina di Brandeburgo. Da quel momento, la pratica della variolizzazione trova ampia diffusione nell’intera popolazione europea.
Sul finire del XVIII secolo si assiste alla nascita di una tecnica innovativa di immunizzazione: la vaccinazione. Un medico di campagna, l’inglese Edward Jenner, nel 1798 dimostra che è più semplice ed efficace immunizzare la popolazione ricorrendo a materiale estratto dalle pustole di vaiolo di provenienza bovina (il “vaiolo vaccino”) anziché umana, sulla base di una presunta, ridotta virulenza della malattia nelle vacche rispetto all’uomo. L’arguto dottore, per dimostrare ciò ricorre a un esperimento oggigiorno impraticabile date le vigenti limitazioni etiche: inocula in un ragazzo di 8 anni, James Phipps, frammenti estratti dalle pustole di una mungitrice del luogo, Sarah Nelmes. Questo provoca nel giovane una forma attenuata di vaiolo, rendendolo in tal modo immune a successivi contagi.
Un’ulteriore svolta si realizza grazie al chimico Louis Pasteur che, tra il 1879 e il 1885, dimostra che è possibile attenuare non solo naturalmente ma anche artificialmente la virulenza di vari agenti patogeni per l’uomo, quali il carbonchio (1881) e la rabbia (1885).
Al grande scienziato è attribuibile il primo caso al mondo di vaccino artificialmente attenuato, testato sull’uomo. Siamo nel 1885: alle richieste di una madre disperata perché il figlio di 9 anni, John Meister, è stato morso da un cane rabbioso, lo studioso decide di intervenire somministrando – e con successo – un vaccino antirabbico ancora in fase sperimentale.
Pasteur sviluppa anche un modello di vaccinazione veterinaria mettendo in atto il vaccino contro il colera dei polli e quello contro il carbonchio per bovini, equini e ovini, la qual cosa avrà riflessi economici e sociali notevoli. La definizione di un metodo – detto, appunto, “di Pasteur” – basato su una serie di specifiche tappe concettuali nella preparazione di un vaccino (isolare, coltivare, attenuare, iniettare il germe patogeno) getta le basi della moderna scienza delle vaccinazioni e dell’immunologia.
Nel 1884 Robert Koch stila i postulati che definiscono l’origine microbica delle infezioni: le malattie infettive sono cioè causate da agenti patogeni che infettano l’organismo ospite, per poi duplicarsi, fino a diffondersi alla popolazione circostante attraverso le secrezioni (saliva, lacrime), il sangue e le feci. Questa data sancisce la nascita ufficiale della microbiologia come scienza.
Nel 1957 l’immunologo australiano Frank Mac Farlane Burnet, per aver descritto i meccanismi biologici che sottendono le difese immunitarie e che si estrinsecano tramite la funzione degli anticorpi, viene insignito del Nobel per la medicina.
Questo breve excursus si chiude citando due esempi di alta umanità e filantropia: i casi degli illustri virologi, Jonas Salk e Albert Sabin, creatori di due differenti, ma egualmente efficaci, vaccini contro la poliomielite, malattia che ha provocato paralisi agli arti in migliaia di bambini, soprattutto negli anni ’50 del secolo scorso e anch’essa debellata nel nostro Paese nel 1982.
Entrambi gli scopritori – al fine di ridurre il prezzo del vaccino, sì da consentirne la più ampia distribuzione – hanno rinunciato ai proventi derivanti dal brevetto il cui valore all’epoca era stato stimato intorno ai 7 miliardi di dollari.
A essi va il nostro accorato plauso. Ai tanti detrattori che alimentano teorie no-vax, prive di qualunque fondamento scientifico, va invece il monito ad approfondire le proprie conoscenze ispirandosi ai dettami della scienza. Sì che la scelta di vaccinarsi o meno non diventi solo un fatto di libertà personale ma soprattutto un atto di responsabilità collettiva.