Valentino da Terni, che vedeva la poesia in ogni fiore
Sulle tracce di una delle figure più affascinanti e (consumisticamente) celebrate della storia. Viaggio tra fonti, racconti e leggende
“In Chiaramonte il giorno di S. Valentino (14 febbraio) la ragazza s’affaccia alla finestra o all’uscio di casa mezz’ora prima che spunti il sole. Se in quella mezz’ora non passerà nessuno, addio matrimonio! Se invece passerà, le nozze saran certe, e dalla età e dalle fattezze del passeggiero, si pronostica l’età e i pregi perdonali del fituro marito. Da qui in proverbio chiaramontano: San Valintinu, lu zitu è vicinu”.
Hanno il sapore di una Sicilia arcaica, queste righe in cui Giuseppe Pitré racconta – nei volumi su usi e credenze degli isolani che scandirono il tempo di tutta una vita – i riti e le pratiche attraverso cui era possibile propiziare e conoscere il futuro sposo. Tempi lontani, in cui il matrimonio era un fondamentale rito di passaggio. Colpisce la necessità dell’antropologo siciliano di specificare la data del giorno dedicato a San Valentino. Perché non era il solo a cui le ragazze si rivolgevano per cercare marito o indovinarne le fattezze, c’erano anche San Giovanni, o Sant’Antonio Abate.
Siamo, insomma, lontani anni luce dalla valanga di cioccolatini, biglietti, rose e pupazzi sotto cui giace sommerso il santo patrono degli innamorati.
“Duole ammetterlo, ma il 14 febbraio è entrato ormai da tempo nel calendario dei bisogni indotti, quello che alimenta le ricorrenze in funzione dei consumi. In questo senso, San Valentino non è diverso da Natale o dalla festa di San Giuseppe”. Ad affermarlo è padre Giuseppe Bucaro, direttore dell’ufficio Beni culturali dell’Arcidiocesi palermitana.
“È una ricorrenza, come oggi la conosciamo, che nasce per giustificare la necessità di fare regali o andare al ristorante. San Valentino, come spesso accade nelle società consumistiche, è stato coinvolto al solo scopo di creare un pretesto per alimentare la produzione di bisogni”.
Chissà che cosa ne avrebbe pensato Valentino da Terni, vescovo e martire cristiano che pagò con la vita il proprio credo. Una vita che gli fu risparmiata una prima volta, probabilmente in virtù della propria appartenenza a una famiglia patrizia.
“È un errore pensare che i martirii avvenissero con facilità. Anzi – sostiene Bucaro – si tendeva a evitarli per quanto fosse possibile. Perché il martirio trasformava la persona in un eroe. Soprattutto in casi come quelli di Valentino, divenuto vescovo in giovane età”.
Su questo santo così consumisticamente celebrato e continuamente tirato in ballo, però, si sa poco. Le leggende, le fonti e i periodi storici si sovrappongono, quando non si contraddicono. Di certo sembra esserci soltanto la morte del martire, avvenuta il 14 febbraio, e un culto antichissimo che lo vorrebbe anche guaritore degli infermi (San Valentino è anche patrono degli epilettici).
Si narra, per esempio, che quel giovane che si ostinava a celebrare messa venisse affidato alle cure di una famiglia nobile, affinché questa provvedesse alla sua redenzione. Cosa che non avvenne. Avvenne invece il martirio, quando Valentino aveva un’età molto avanzata, sotto Aureliano: si dice fuori città, lungo la via Flaminia, per evitare che la gente intervenisse.
Perché, nel frattempo, pare si fosse fatto amare.
“Alcune fonti raccontano – conclude Bucaro – che sarebbe stato giustiziato in seguito alla celebrazione del matrimonio tra la cristiana Serapia e il legionario romano Sabino, pagano. Una cerimonia affrettata, perché Serapia era affetta da una grave forma di tisi. Secondo la leggenda, gli sposi morirono insieme, durante la benedizione”.
Il racconto si concluderebbe con il martirio del santo, che secondo in questa versione non sarebbe morto quindi in un luogo isolato della via Flaminia.
A noi piace pensare che, nel caleidoscopio affascinante e contraddittorio di tutte queste storie, si ricomponga la figura di un uomo talmente determinato da morire per i propri principi. E talmente dolce da sapere intravedere nei fiori una poesia del creato, tanto da farne dono al prossimo. Che i destinatari fossero innamorati o no, che si tratti di una delle tante leggende postume, di fronte alla poesia (oggi sempre meno evidente) di un fiore, è del tutto superfluo.
Lo intuirono Geoffrey Chaucer e William Shakespeare, solo per citarne qualcuno. A molti di noi sfugge invece: e continuiamo a seppellire il povero Valentino (e noi stessi) sotto una valanga di oggetti.