“Vita di mafia” di Federico Varese.
Con Vita di mafia (Einaudi, 268 pagine, 19 euro) Federico Varese, docente di criminologia a Oxford e studioso di fama internazionale, ha scritto un insolito saggio-reportage che scova le sue storie ai quattro angoli del mondo; poi le racconta in prima persona con talento da narratore, rompendo così uno dei più radicati tabù del saggista accademico. Il sottotitolo mantiene le promesse: recita Amore, morte e denaro nel cuore del crimine organizzato e con “crimine organizzato” intende le mafie globali, dalla mafia siciliana a quella russa, alla Yazuka giapponese e alle Triadi di Hong Kong.
Per Varese “la mafia va sottoposta a un processo di demistificazione, perché possa essere percepita come un fenomeno umano con cause ed effetti che si possono combattere nell’impegno della quotidianità”. La prima idea del libro è arrivata nella Siberia russa, a Perm, dove alla metà degli anni Novanta lo studioso conosce Zykov, esponente di una confraternita criminale segreta che ha un ruolo di spicco nel panorama mondiale. Varese rimase a lungo a Perm, finendo per scrivere un testo fondamentale sul rapporto esistente fra la transizione all’economia di mercato e l’insorgere del crimine organizzato. La domanda rimasta irrisolta, che fa da filo conduttore a Vita di mafia, è cosa spinge un criminale a fare scelte di vita così radicali: interrogativo non da poco, che porta il lettore a contatto con la natura delle mafie globali ovunque proliferanti. Varese dice: “il mio obiettivo è riuscire a vedere i criminali come sono nell’intimità, fuori dall’enfasi dei film d’azione e da una visione che li relega in una sfera separata da noi. I mafiosi possiamo trovarli tanto a Palermo che nel paese dove abito, in quell’Inghilterra che si crede immune dal virus mafioso”.
Le interviste raccolte dal ricercatore, sommate alla mole di dati ricavabili da fonti giudiziarie e intercettazioni della polizia, portano a chiedersi chi siano dunque i mafiosi. Per Varese, “una diversa concatenazione di circostanze avrebbe potuto condurli a una vita molto diversa. Accettano di raccontarsi per parlare di sé e giustificare le proprie azioni. Cerco di mettere in luce la dimensione umana. Per combattere la mafia bisogna capirla e per capirla bisogna umanizzarla, ricordando quello che diceva il giudice Falcone: la mafia è un fenomeno umano, ha avuto un inizio e avrà anche una fine”.
Il libro si sviluppa a partire dai momenti salienti della vita utilizzati come titolo dei capitoli: abbiamo Nascita, Lavoro, Gestione, Denaro, Amore, Immagine di sé, Politica e Morte. Ogni capitolo inizia con una storia, in “Lavoro” il protagonista è Antonino Rotolo, capo della famiglia del palermitano quartiere di Pagliarelli: le intercettazioni telefoniche permettono all’autore di ricostruire la gestione del pizzo e anche il progetto di Gianni Nicchi, uomo di fiducia di Rotolo che vorrebbe fare rientrare Cosa Nostra nel traffico internazionale di droga grazie a un’alleanza con la mafia italoamericana. Per la mafia siciliana i tempi sono difficili. Dopo il 2008 Rotolo e altri boss hanno dovuto affrontare la crisi economica, la pressione della polizia, i numerosi arresti e l’arrivo di immigrati poco disponibili a dare per scontato il dominio territoriale di Cosa Nostra. Rotolo sta scontando un ergastolo ai domiciliari ed è ossessionato dalle possibili intercettazioni, accetta di incontrare Varese in un box di lamiera in fondo al giardino della sua villetta, nello stesso complesso edilizio dove nel 1993 è stato arrestato Totò Riina. “Il lavoro quotidiano di Antonino Rotolo e del suo braccio destro consiste innanzitutto nel cercare di imporre una tassa su tutte le attività economiche del quartiere” dice Varese, che aggiunge: “una serie di studi ha dimostrato che le mafie globalizzate sono forme di governo del territorio, specializzate nella fornitura di protezione”: la mafia protegge da altri criminali ma soprattutto da se stessa, crea la minaccia da cui proclama di difendere.
Per esperienza sappiamo come la presenza della mafia abbia effetti devastanti sull’economia di un territorio, ma per qualcuno gli affari migliorano. Nelle prime pagine del libro di Varese leggiamo di un club di Manchester “leggendario” negli anni 80 e 90, l’Haçienda, dove nacquero generi musicali come l’hacid house e la musica rave. Sembra un mondo lontano dal box in lamiera del boss Rotolo ma, senza averle studiate sui libri, è Peter Hook – fondatore dei Joy Division e comproprietario dell’Haçienda – a elencare i tanti vantaggi derivanti dall’avere una famiglia criminale che controlla l’accesso al club.
Le organizzazioni studiate da Federico Varese in Vita di mafia hanno creato norme di comportamento che si ripetono molto simili da un continente all’altro e sempre rispondono alle stesse necessità, affermandosi quando lo Stato non è in grado di controllare un territorio. Quando non è credibile. “È allora – conclude Varese – che subentrano gli operatori violenti e la giustizia criminale sostituisce quella legale”.