Giorgio Boris Giuliano: lo “sceriffo americano” della Squadra mobile di Palermo ucciso dalla mafia
Giorgio Boris Giuliano, diventato capo della Squadra mobile di Palermo nel 1976, fu il primo investigatore a seguire il flusso di denaro tra la Sicilia e gli USA nella lotta al narcotraffico. Venne ucciso da cosa nostra il 21 luglio 1979 al bar Lux di Palermo per mano di Leoluca Bagarella.
Ecco la storia e la carriera del commissario che a casa continuava a raccontare le favole ai figli e che fuori non dava tregua alla mafia.
Giorgio Boris Giuliano storia
Giorgio Boris Giuliano è nato a Piazza Armerina, in provincia di Enna, il 22 ottobre 1930. È stato investigatore e dirigente delle Squadra mobile di Palermo.
Giorgio era il suo primo nome, quello con cui veniva chiamato in famiglia e tra gli amici, ma la madre aveva l’abitudine di dare dei secondi nomi a tutti i suoi figli. Così era stato anche per Giorgio, chiamato Boris soprattutto dai giornalisti. Suo padre era un sottufficiale della Marina militare di stanza in Libia e per questo motivo il giovane Giorgio passò parte della sua infanzia nel paese nordafricano.
Nel 1941 la famiglia tornò in Sicilia stabilendosi a Messina: qui Giorgio Boris seguì gli studi fino alla laurea in giurisprudenza nel 1956, senza però tralasciare lo sport, grazie al quale – durante il periodo universitario – arrivò a giocare nella serie B di pallacanestro con la squadra Cus Messina. Cominciò a lavorare per una piccola società manifatturiera, la Plastica italiana, e poi si trasferì a Milano.
Quando negli anni Sessanta intraprese la carriera in polizia sentì forte il richiamo alla sua terra d’origine, la Sicilia, e così fece subito richiesta di trasferimento a Palermo, dove divenne dirigente della Squadra mobile nel 1976. Erano gli anni in cui in città si respirava un’aria pesante, quella della mafia che uccideva senza scrupoli ogni ostacolo ai suoi affari illeciti.
Ma Giuliano, nonostante seguisse indagini pericolose per le strade di Palermo, non trascurava l’amore per le cose semplici e per la sua famiglia, perché lo attendevano a casa la moglie, Ines Maria Leotta, e tre figli: Selima, Emanuela e Alessandro. La tenerezza di un poliziotto, prima di tutto uomo e padre, traspare ancora nei racconti dei figli. Di questi momenti indelebili impressi nei loro ricordi parla la scrittrice Alessia Franco nel libro “Raccontami l’ultima favola. Giorgio Boris Giuliano, commissario e cantastorie” per Mohicani Edizioni.
Boris Giuliano: la carriera a Palermo
Boris Giuliano era impiegato in una multinazionale tedesca e ricopriva una posizione di rilievo, ma era un lavoro che non lo soddisfaceva. Così agli inizi degli anni Sessanta decise di entrare in polizia per diventare commissario: la sua era stata una scelta per passione.
Era rimasto impressionato dalla strage di Ciaculli del 30 giugno del 1963 in cui persero la vita sette appartenenti alle forze dell’ordine. Non aveva neppure concluso il corso alla scuola di polizia, ma aveva già aveva chiesto l’assegnazione a Palermo. La città viveva la cosiddetta “stagione delle Giuliette”, dal modello di auto che veniva più spesso rubato per essere usato come autobomba nella prima guerra di mafia. Erano gli anni in cui da Palermo si preferiva scappare. Giuliano la scelse per lavorare in prima linea, spinto dalla sua sete di giustizia.
Assegnato alla sezione omicidi nel 1963, divenne dirigente della Squadra mobile di Palermo nel 1976.
Con un’ottima conoscenza dell’inglese, Giuliano venne scelto – unico poliziotto italiano – per un addestramento speciale a Quantico, in Virginia, con gli uomini della DEA e dell’FBI.
Le indagini condotte dallo “sceriffo americano”
I suoi lunghi baffi neri e folti da detective di film americani gli valsero l’appellativo di “sceriffo”, ma lui i mafiosi li cacciava davvero. Negli anni Settanta erano ancora pochi gli strumenti tecnici e legislativi a disposizione delle forze dell’ordine per contrastare la criminalità mafiosa. Questo rallentava il lavoro svolto da polizia e carabinieri una volta giunto alle scrivanie della Procura. Giorgio Boris Giuliano, però, era inarrestabile; seguiva il suo intuito investigativo. Il controllo del territorio era l’arma prediletta. Sua è stata l’idea di mappare i pregiudicati con schede informative compilate ad hoc per giungere alla formazione delle famiglie mafiose.
La sua conoscenza dell’inglese – non molto diffusa in quegli anni tra il personale di polizia – gli permise di definire e intrecciare i legami tra cosa nostra e il narcotraffico degli USA, collaborando con i poliziotti americani. Fu il primo investigatore a seguire il flusso di denaro tra la Sicilia e gli USA nella lotta al narcotraffico.
“Follow the money” era il motto di quella che fu la strategia investigativa basata sulle indagini bancarie allo scopo di tracciare i capitali illeciti ed i relativi traffici, che sarà poi molto valorizzata dal giudice Giovanni Falcone con il quale, per l’apprezzata professionalità, instaurerà un sincero rapporto di stima.
Tra le indagini condotte dal commissario, si ricorda quella sulla scomparsa di Mauro De Mauro (giornalista de “L’Ora” che nel 1970 era in procinto di depositare materiale informativo raccolto per far luce sulla morte di Enrico Mattei), e quella sull’omicidio di un altro giornalista, Mario Francese, e poi ancora sull’omicidio del boss Di Cristina da cui intuisce il collegamento con il riciclo dei soldi di Michele Sindona.
Tra le ultime operazioni guidate da Giuliano, nel giugno 1979, ebbe un ruolo cruciale lo smantellamento di una rete di narcotraffico internazionale sulla rotta Palermo-New York gestita dal clan dei corleonesi che portò al sequestro di valigette contenenti 500.000 dollari all’aeroporto di Palermo, compenso di ingenti quantitativi di droga e, dopo pochi giorni a New York, di una partita di eroina purissima spedita da Palermo del valore stimato di 10 miliardi di lire.
Boris Giuliano: la morte
Era il 29 aprile 1979 quando arrivò una chiamata alla Questura di Palermo. Una voce, quella di Pietro Marchese, ripeteva questo avvertimento: “Giuliano morirà”.
È una mafia che non guarda in faccia nessuno, che spara alle spalle, così come avvenne quella mattina del 21 luglio 1979 al bar Lux di Palermo in via Francesco Paolo Di Blasi. Sette colpi di pistola colpirono di schiena il commissario della Squadra mobile di Palermo. A premere il grilletto della Beretta 7.65 per quelle sette interminabili volte fu Leoluca Bagarella, boss dei corleonesi, cognato e braccio destro di Totò Riina.
Il corpo di Giorgio Boris Giuliano è sepolto al cimitero di Piazza Armerina, il suo operato è rimasto sulle gambe di chi ancora lavora per la giustizia.
Le vicende giudiziarie del delitto Giuliano
Del delitto Giuliano si occupò il pool di Palermo e i mandanti vennero giudicati al maxiprocesso a cosa nostra nel 1986. Ad essere condannata è la cupola di cosa nostra: Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Filippo Marchese. Per gli esecutori materiali invece l’iter processuale fu più complesso e l’accusa a Leoluca Bagarella arriverà soltanto a metà degli anni ’90, su indicazione del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca.