Vivere una magione nobiliare: strutture organizzative e funzionalità operative
Abstract: ho cercato di sintetizzare in queste poche pagine i primi risultati di una ricerca rivolta a ricostruire il funzionamento giornaliero dei palazzi nobiliari palermitani fra ‘600 e ‘700. Ho tentato di individuare ruoli e funzioni utilizzando lo strumento della contabilità tenuta dal Maggiordomo struttura apicale responsabile della gestione del complesso meccanismo organizzativo. Cuochi, buffoni, paggi, cameriere, palafrenieri, schiavi ricamatori si affollano all’interno delle mura del palazzo e abbiamo cercato di capire i loro ruoli. Infine ultima riflessione sulla gestione del “buio” prima dell’introduzione del petrolio, del gas e infine dell’elettricità. Buona lettura.
Ninni Giuffrida
Il “Palazzo” palcoscenico della rappresentazione
Pellicole di successo come il Gattopardo o romanzi dedicati alla vita dei Florio o di altri nobili siciliani mettono in rilievo le vicende dei personaggi che si muovono sullo scenario costituito dai loro palazzi con le fughe dei saloni ornati da specchiere, da arazzi, da quadri fra i quali hanno una presenza iconica i ritratti degli antenati il cui culto – romanzato e esaltato – serve non solo ad esaltare le glorie della famiglia ma anche a far dimenticare qualche peccato iniziale sul quale hanno costruito le loro fortune. Tutto è focalizzato sugli attori principali il principe, il nobile o l’imprenditore di successo nulla, o solo qualche sfuggevole cenno, dicono sulla struttura operativa che sta alla base del funzionamento di questo complesso e articolato apparato funzionale senza il quale il “palazzo” non avrebbe potuto svolgere il suo ruolo di “teatro” per la rappresentazione della gloria della casata.
La difficoltà per approcciarsi ad una corretta lettura del funzionamento della struttura operativa e funzionale preposta al funzionamento del “palazzo” consiste fondamentalmente nella problematicità a reperire sia le fonti archivistiche sia le testimonianze dei Maestri di casa, cioè di coloro che sono posti al vertice della struttura come potrebbe essere la diaristica o libri di memorie. La lettura di Nobiltà alla carta (Nobiltà alla carta. Itinerario turistico-culturale nelle cucine aristocratiche di Palermo, New Digital Frontiers, Palermo, 2019), un libro dove sono raccolti i risultati di una ricerca nata all’interno degli assi progettuali del programma “500 Giovani per la Cultura”. L’articolata introduzione e le note di lettura ci indicano che l’obiettivo della ricerca sia stata quella di analizzare la vita di alcune famiglie aristocratiche palermitane tra Ottocento e Novecento entrando nei loro palazzi e ricostruendone le abitudini alimentari. L’elemento chiave di questo libro consiste nel fatto che il gruppo di ricerca ha utilizzato delle fonti archivistiche quasi del tutto inutilizzati quali i “libri di dispensa” e gli inventari compilati per censire gli strumenti di lavoro conservati nelle cucine dei palazzi. Un approccio nuovo e complesso da sintetizzare ma che è certamente un modello da adoperare, soprattutto per l’utilizzo delle fonti archivistiche, per ricostruire la struttura operativa che faceva vivere il “palazzo”. In particolare, l’attenzione si è concentrata sui libri di dispensa dei veri e propri libri giornali tenuti dai Maestri di casa nei quali si annotava la presenza del personale di servizio articolato per funzioni e gerarchicamente ordinato in base alle retribuzioni indicate e registrate. Inoltre, viene annotato il costo della cucina sia in termini di rifornimenti della dispensa sia di consumi giornalieri. Altro dato che si può desumere è quello delle liste dei cibi serviti a tavola soprattutto in occasione di ricevimenti.
Seguendo questa indicazione metodologica ho cercato di rintracciare delle fonti archivistiche analoghe per i secoli precedenti.
Il Palazzo del principe di Paternò
Il ritrovamento di due libri di dispensa, redatti dal Maggiordomo del principe di Paternò – duca di Montalto nel settembre 1628 (Il volume di conti del Maggiordomo Luys Bravo de Sobremonte, conservato a palazzo Branciforte, è stato studiato da Eros Calcara nella sua tesi magistrale (E. Calcara, il Gusto del potere – Una metafora per leggere la Sicilia in età moderna (secc. XVI-XVII), anno accademico 2019-2020)) e nell’aprile 1636 (Archivio di Stato di Palermo, Archivio Moncada, vol. n. 375, Libro della dispensa del duca di Montalto, aprile 1636), ci permette di analizzare il modello organizzativo per il funzionamento di un palazzo nobiliare del sec. XVI. La chiave di lettura che ho utilizzato è la lista dei “criati e criate”, nella quale vengono annotate le funzioni che svolgono i singoli nel contesto del palazzo, premessa dal maggiordomo ad ogni singolo libro giornale della spesa mensile delle spese alimentari i cui dati saranno riportati poi nel libro mastro della contabilità generale.
Salari determinazione
L’inserimento della lista dei salari mensili nel contesto della spesa mensile della “dispensa” non è causale in quanto molti salari sono espressi in moneta corrente ma, nella quotidianità, sono corrisposti in razioni di cibo. Due note sviluppate nel volume del 1628 dal Sobremonte, Maggiordomo quindi capo indiscusso di tutta la struttura operativa del palazzo, sono estremamente indicative del modo come si rapportavano costi, razioni e quantità; tenendo conto della qualifica professionale e del loro inserimento nel contesto gerarchico della struttura umana che gestisce il palazzo.
La prima annotazione si riferisce al calcolo per la corresponsione del salario per sei mesi a ciascuno dei due musici Genolfo e Pietro Paolo che è rapportato al suo valore in moneta di conto del consumo giornaliero dei seguenti beni alimentari: pane per il valore di 8 gr.; un quartuccio di vino per 9 gr.; 9 once di carne per 16 gr.; minestra 1 gr.; frutta 2 gr.; spezie 1 gr.; pancetta di maiale gr.1. Il valore in moneta di conto del complesso delle razioni è di 39 grani quotidiani pari a tr. 1.19 mensile. Un salario che colloca i musicisti in una posizione di alto livello nella scala dei valori della gerarchia funzionale all’interno del palazzo.
La seconda annotazione è collegata al calcolo del salario mensile che si deve computare per il mantenimento di 6 schiavi. Anche in questo caso la lista inizia con l’indicazione della corresponsione giornaliera di pane nero per il valore di 8 gr., un quartuccio di vino per 9 gr., mezzo rotolo (grammi 400) di carne di vacca gr. 5. 3, minestra gr. 1. In totale gr. 23.3 al giorno.
Il confronto tra le due diverse realtà ci mostra come lo schiavo viene posto alla base della struttura organizzativa della casa nobiliare. La lettura di questi dati e il loro contenuto ci permettono di fare una riflessione sui meccanismi grazie ai quali si determinava il salario minimo da corrispondere ai “criati e alle criate”.
Il salario di base, come si può ricavare dal confronto delle due annotazioni, è costituto per giornata di lavoro da: una minestra, dal pane (nero o bianco), da un quartuccio di vino (circa 800 mml), da una porzione di carne. Altri grassi, frutta e spezie per insaporire il tutto si sommano alla struttura alimentare di base e segnano la posizione che il “criato” ha nella gerarchia funzionale del palazzo.
La struttura umana
Per fare funzionare il palazzo e adempiere a tutte le incombenze necessarie sono necessarie diverse competenze variamente articolate che impegnano, nei documenti che abbiamo esaminato, almeno 80 – 90 persone con punte anche di cento. Per comprendere come questa forza lavoro è impiegata nel palazzo e a quali compiti è adibita, cerchiamo di creare un percorso che ci permetta di entrare dentro il palazzo e di provare a ricostruire i servizi ai quali i diversi nuclei operativi erano assegnati. Il salario corrisposto, indipendentemente che sia dato in cibo o denaro, costituisce il principale parametro per stabilire la collocazione del singolo criato o, meglio, del nucleo dei criati nella scala gerarchica all’interno della struttura del palazzo. Ad esempio, nel 1628 nella lista dei salari si legge che al Mayordomo si corrispondono tr. 5.10 al mese, allo schiavo tr. 1 e al Capo cuoco tr. 5 . Un ottimo indicatore che possiamo usare per cercare di capire i meccanismi di funzionamento della struttura.
Entriamo nel palazzo dal portone principale, al cui controllo è destinato un portiere e il suo aiutante, e saliamo lo scalone che ci porta al piano nobile. La galleria dei saloni e degli specchi ci abbagliano, come riferiscono i viaggiatori stranieri in Sicilia che visitano i palazzi; tuttavia, se vogliamo vedere le strutture operative che permettono al piano nobile di svolgere la propria funzione di rappresentanza dobbiamo fermarci al piano terra.
In questo spazio sono concentrate tutte le strutture legate al funzionamento del palazzo: Cucine; magazzini dove riporre le derrate alimentari, il carbone e la legna per alimentare i fuochi dei fornelli, dei camini e dei bracieri; le stalle; il canile; il gallinaio. Strutture che hanno bisogno di una manutenzione continua affidata anche ad un “pittore” con il compito di rinfrescare il colore delle pareti dei diversi locali.
La gestione della mobilità all’interno della città di Palermo e al di là del circuito urbano è affidata a due strutture: le stalle o cavallerizza; il ricovero delle carrozze e delle portantine. Almeno 20 addetti devono governare queste strutture: stallieri, cocchieri, carrettieri, sigittieri (addetti alla portantina). Nel 1628 nelle stalle del palazzo si trovano 9 muli, 15 cavalli, 5 puledri, governati da 8 stallieri. Interessante che ai cavalli viene dato un nome come: Allegre cor, Porcelana, Grifon, Gaetana, Balotola. Altra attenzione è posta alla manutenzione delle carrozze. Una presenza consistente di muli e cavalli che comportano una struttura organizzativa di servizio rilevante che assicurasse non solo il benessere degli animali ma, anche, la gestione dello smaltimento della rilevante massa di rifiuti che questa elevata concentrazione di animali produceva.
I pozzi neri
Rifiuti che il palazzo produce in modo massiccio non solo le stalle ma anche negli altri ambienti. Tutte le altre deiezioni che gli ospiti della struttura producono devono essere smaltite in una città come Palermo che non ha fognature ma che utilizza ancora le strutture dei pozzi neri a dispersione nella falda freatica. La lista dei criati riporta il nome di Giuseppe “mozzo di ritiretto di su e camera”. Quindi un criato era destinato a gestire i recipienti, vasi da notte e orinali più o meno grandi, necessari per governare i servizi igienici del “piano nobile” da scaricare nei pozzi neri costruiti a servizio del palazzo.
La realizzazione di un luogo destinato nei palazzi nobiliari destinato esclusivamente alla gestione dei bisogni corporali comincia a farsi strada verso la fine del secolo XVII.
Antonio Amato, principe di Galati, padrone e signore della città di Caccamo, fece eseguire nel 1664 numerosi lavori nel castello per rimodernarlo: si realizzò «una stanzietta per servizio del loco comuni», un gabinetto che scaricava in una fossa in modo da eliminare pitali e maleodoranti “gabinetti portatili”.